Fluorescent Adolescent
Prologo
Le ultime luci dell’alba, tremolanti mentre lasciavano posto al giorno, disegnavano pallide ombre azzurrine sulle case quadrate di Little Whinging.
La cittadina, che di solito pullulava di zelanti signore intente alla cura maniacale del proprio giardino e di panciuti impiegati muniti di pompa e idrante per il lavaggio di auto scolorite, era avvolta in un dolce torpore: la si poteva quasi sentir respirare, come il lento e ritmato alzarsi e abbassarsi del petto di un bambino.
Solo il sonnacchioso, ovattato e beatamente felice silenzio.
Era davvero un peccato che qualcuno al numero 4 di Privet Drive non potesse godere di tale spettacolo, perché recluso nel ripostiglio del sottoscala.
Harry poteva sentire chiaramente ciò che avveniva in salotto: c’era un curioso viavai, zia Petunia trafficava con il bacon , Dudley piagnucolava pestando i piedoni al suolo perché non trovava il suo giocattolo preferito, un tramestio di piatti schiantati al suolo e un’ imprecazione di zio Vernon.
Poi un sonoro bussare alla porta del sottoscala: "Esci subito da qui, pelandrone!".
La porticina si aprì e ciò che Harry intravide, con gli occhi socchiusi per la nuova luce del giorno, fu una visione tutt’altro che rassicurante: zio Vernon torreggiava su di lui ed era particolarmente di malumore.
Il suo viso corrucciato aveva assunto una calda sfumatura di mattone, gli occhi porcini erano ridotti a fessure, digrignava i denti e una macchia rossastra compariva vistosa sulla camicia “delle occasioni speciali”; a Harry ricordò un gigantesco cinghiale che aveva appena divorato la sua preda.
"E non stare lì impalato con quella faccia da tonno" grugnì sgarbato zio Vernon " infila la divisa e monta in macchina, altrimenti ti lasciamo qui.. Razza di ingrato! ".
Non sarebbe mancato al suo primo giorno di scuola per nulla al mondo!
Così, dopo che zio Vernon si esibì in una nevrotica corsetta alla volta delle scale, Harry entrò in cucina e vi trovò uno spettacolo alquanto insolito: Dudley troneggiava su una sedia con i braccioli, al centro della stanza, con un’espressione imbronciata.
La divisa giallo miele in cui era avvolto, i ciuffi di capelli biondi che spuntavano sul suo testone, il “trono” su cui era seduto e da cui dava ordini a zia Petunia che eseguiva, svolazzando di qua e di là come una frenetica ape operaia, davano a Dudley l’aspetto di una fiera ape regina.
Quando si accorsero che era lì, operaia e regina guardarono Harry come un infido apicoltore che avrebbe rotto gli equilibri dell’alveare.
" Ah, sei qui" gracchiò arcigna zia Petunia scrutando il nipote con disapprovazione "quello è il cestino del pranzo, ma dovrai guadagnartelo. Porta fuori la spazzatura e pulisci la macchia di ketchup qui per terra. Questa è la tua uniforme... "e glì lanciò di malagrazia un telo sformato giallo paglierino, che somigliava più a un piumone che ad una divisa vera e propria.
"Ma.." cercò di ribadire Harry debolmente: zia Petunia doveva aver sbagliato, non era della sua misura! Ce ne sarebbero entrati tre di lui lì dentro!
"Niente ma, non fare storie, moccioso irriconoscente! Con i soldi che ho speso per quella cosa" e indicò la divisa tra le braccia di Harry "avrei potuto comprare un giocattolo nuovo al mio Diddino patatino, è un così bravo figliolo..".
Dudley lanciò un’occhiata malevola al cugino che, rassegnato, si apprestava a svolgere le sue mansioni.
Se il buon giorno si vede dal mattino, per Harry non si preannunciava nulla di buono.
*
La scuola elementare più vicina a Little Whinging era senza dubbio Meadowfield, che distava una decina di minuti da Privet Drive.
Harry pensava che potevano andarci benissimo a piedi: gli piaceva sentirsi accarezzare il viso dal fresco vento settembrino, riempirsi le narici con il profumo degli alberi, sgranchirsi le gambe… Ma, come al solito, a nessuno importava di ciò che pensava Harry che, parcheggiato sul sedile posteriore, osservava le colorate abitazioni di Little Whinging susseguirsi rapidamente.
A malapena colse qualche brandello delle raccomandazioni concitate degli zii: "Non dare fastidio a Dudley… Non prendere le sue cose… Non fare cose strane… Non fare amicizia con gli amici di Dudley.. Non rispondere alle domande sui tuoi genitori…".
Ma c’erano cose più importante che preoccupavano Harry: e se l’avessero preso in giro per gli occhiali tenuti insieme con il nastro adesivo e l’uniforme extra-large? E se non si fosse fatto nessun amico? E se non fosse stato abbastanza intelligente per seguire le lezioni? E se Dudley l’avesse reso nuovamente vittima dei suoi scherzi maligni? E se la maestra fosse stata cattiva e antipatica come zia Petunia?
Solo fino a qualche giorno prima era entusiasta di non dover più passare tutto il giorno ad essere tormentato dai Dursley, mentre ora sarebbe ritornato volentieri nella quiete e nella penombra del sottoscala.
Erano arrivati.
Assorto in questi pensieri, Harry scese dall’auto e uno stormo di voci chiassose gli riempì le orecchie.
Era nel cortile di Meadowfield e non aveva mai visto così tante persone tutte insieme: genitori che che tranquillizzavano i figli, gruppi di ragazzine di quinta che si raccontavano i pettegolezzi estivi, amici ritrovati, fragorose risate, minuscoli bambini della materna attaccati alla gonna delle madri, auto dai colori vivaci che brillavano al timido sole di settembre, adulti che si scambiavano convenevoli e sorrisi di circostanza.
Era tutto così.. Nuovo e diverso.
Ma improvvisamente l’intero cortile sembrò ammutolire, come se qualcuno avesse tolto l’audio; l’attenzione di tutti era focalizzata su un punto imprecisato dietro Harry, sicchè in un folle attimo si chiese se fissassero proprio lui.
Poi scoppiò un fitto brusio di sorpresa e lui si voltò per scoprire quale fosse la fonte di tale scompiglio.
Avanzava verso di loro un’alta figura, avvolta in una lunga e appariscente veste blu notte, i capelli argentei raccolti in un’elaborata treccia, le mani e il collo pieni dei più luccicanti gioielli che Harry avesse mai visto.
Ma nessun gioiello brillava quanto i suoi vispi occhi azzurri che, Harry poteva giurarci, almeno per un attimo avevano indugiato proprio nella sua direzione.
Pochi l’avevano conosciuta di persona, ancor di meno erano quelli che osavano rivolgerle la parola e nessuno sano di mente si sarebbe mai sognato di bussare alla sua porta; era ciò che il vicinato definiva “una vecchia svitata e spaventosamente stramba” e Harry ricordò che una volta zia Petunia disse che “bisognava evitarla come la peste bubbonica”.
Si raccontavano strane storie su Vera Van Winklewick: la signora Claythorne affermava di averla vista conversare allegramente con il suo gatto nero e quello aveva.. annuito!
Il rispettabilissimo signor Wargrave invece era certo di sentire strane esplosioni provenire dalla casa dell’anziana signora, per non parlare dei fuochi d’artificio che uscivano dal suo camino ogni Halloween!
Il figlio dei signori Morris, dal canto suo, giurava che quando era andato a fare “dolcetto o scherzetto?” alla porta di quella, un brutto quadro dell’ingresso gli aveva fatto una boccaccia!
La signora Van Winklewick non amava farsi vedere in giro, civettare con le vicine, curare il suo giardino (occupazione considerata sacra per gli abitanti di Little Whinging).. Non si preoccupava di vestire alla moda («Quel vestito sembra uscito dal secolo scorso, per l’amor del cielo!» commentò zia Petunia in tutto il suo disappunto) né tantomeno di smentire la poco desiderabile reputazione che aveva presso i vicini; anzi, sembrava quasi che si divertisse a scandalizzarli.
Tuttavia, non viveva da sola: aveva una nipotina dell’età di Harry e quello era il primo giorno di scuola anche per lei.
Le due raggiunsero a passo svelto un luogo isolato, incuranti degli sguardi invadenti e delle maligne osservazioni; la vecchia Vera bisbigliò qualcosa all’orecchio della nipote, che sorrise divertita, e poco dopo il suono metallico della campanella riempì il cortile.
*
La campanella dell’intervallo aveva suscitato moti di gioia all’interno delle classi; una fiumana di ragazzini rumorosi si riversava in cortile.
Molti avevano già fatto amicizia: c’era chi saltava con la corda, chi giocava alla “settimana”, chi faceva una partita a carte o a biglie, chi chiacchierava, chi giocava a palla, chi si rincorreva, chi andava sull’altalena.. In qualche modo, tutti sembravano aver trovato il proprio posto.
Perfino Dudley si era fatto dei nuovi amici: Piers Polkiss, un bambino pelle e ossa con la faccia da topo; Dave Rockhood, una specie di barile dai capelli a spazzola; e Tyler McGavin, con il muso schiacciato e i capelli biondi a scodella.
Il cortile offriva a tutti la possibilità di godersi l’intervallo come meglio preferivano: c’erano delle giostre, dei tavolini, grandi spazi verdi e delle panchine un po’ isolate, perfette per chi voleva stare al riparo da sguardi indiscreti.
Su una di quelle sedeva il piccolo Harry Potter, tutto solo, mentre osservava gli altri bambini divertirsi e ripercorreva mentalmente la mattinata appena trascorsa.
Quando entrò per la prima volta in classe si sentì come un uccellino spinto fuori dal nido ma non ancora pronto per volare.
Aveva preso posto in un banchetto della seconda fila e Dudley era pericolosamente sistemato nel banco di dietro.
Nel frattempo entrò la maestra, che si presentò come la signorina Mahoney: era poco più che una ragazza, con morbidi capelli biondo miele, dai lineamenti delicati e i modi gentili; sembrava un angelo.
Gli amorevoli occhi chiari passavano in rassegna dei suoi giovani alunni, mentre cercava di memorizzare più nomi possibile; erano tutti incantati dalla giovane maestra e si divertirono un mondo quando propose loro una filastrocca e un gioco di parole.
Tuttavia i dispetti di Dudley non tardarono ad arrivare: iniziò a lanciare palline di carta nei capelli del cugino, gli mise uno sgambetto che per poco non gli fece frantumare gli occhiali, e gli rovinò il quaderno che zia Petunia gli aveva dato perché a Dudley non piaceva più la copertina dopo essere uscito dalla cartoleria; molti bambini scoppiarono a ridere additando la vittima degli scherzetti.
Le flebili ammonizioni della signorina Mahoney non poterono nulla con Dudley, che gongolava con un’aria innocente.
Harry era abituato a subire le angherie di suo cugino ma nel profondo del suo cuore aveva sperato, almeno quella volta, di essere come tutti gli altri.. Esserenormale.
Era il primo giorno di scuola e già veniva deriso dai compagni e ignorato durante l’intervallo.. Davvero un pessimo inizio.
Ma, come si suol dire, al peggio non c’è mai fine.
Infatti proprio in quel momento passava di lì Dudley con la sua nuova banda e naturalmente non si fecero scappare l’occasione di stuzzicare Harry.
“Hey femminuccia!” lo chiamò, facendo sbellicare i suoi compari. Harry decise di ignorarlo: prima o poi si sarebbe stancato e l’avrebbe lasciato in pace.
“Che c’è? Sei così tonto che ti sei ingoiato la lingua?” cantilenò quello. Altre risate e Piers squittì tra uno spasmo e l’altro « Buona questa, Dud! ».
Nessuna risposta.
Dudley Dursley detestava parecchie cose. Detestava le verdure, il non venire assecondato in tutti i suoi capricci, i giocattoli vecchi, ma soprattutto, detestavaessere ignorato.
“Da quando in qua i pidocchi provano a fare i duri, eh?” domandò gonfiando il petto, con aria di sfida.
La mente di Harry lavorava frenetica mentre goccioline di sudore gli imperlavano la fronte.
Avrebbe potuto scappare: era piuttosto veloce a correre, soprattutto quando c’era in gioco la sua incolumità.
Ma non sarebbe arrivato lontano, la cricca di Dudley l’aveva praticamente circondato.
Avrebbe potuto continuare ad ignorare il problema.
Certo, così da portare Dudley ad una crisi di nervi che poi avrebbe sfogato sul suo sacco da boxe preferito che, guarda caso, era proprio lui.
Avrebbe potuto chiedere aiuto o chiamare la signorina Mahoney.
Sì, così avrebbe fatto la figura del codardo.
L’unica possibilità era quella di trattare suo cugino con le pinze, in modo che il “vulcano” non esplodesse, e pregare in cuor suo di tornare a casa sano e salvo.
“Ehm.. I-io stavo solo.. E-ecco, quello che intendevo dire è..” iniziò Harry flebilmente, “DOLCETTI AL CIOCCOLATO!” strillò Dudley con gli occhi spalancati e la bava alla bocca, indicando un sacchetto che spuntava appena da dietro la schiena di Harry.
“Non sapevo che tua madre preparasse il cestino del pranzo anche per quel piccolo perdente, Dud!” biascicò Piers con la sua voce nasale, con un tono sorpreso.
“Q-questo me l’ha dato la signorina Mahoney!” disse Harry, questa volta più deciso, e con una nota d’orgoglio nella voce.
“E ora lo darai a me altrimenti ti riduco in polpette, pivello.” gli intimò Dudley, avvicinandosi con aria minacciosa.
“Neanche per sogno, lasciami in pace!” esclamò Harry, stringendo forte il sacchetto a sé.
Non aveva idea di come quelle parole gli fossero uscite dalla bocca, era come se fosse stato un altro a dirle: il suo istinto di sopravvivenza sapeva che dare quel sacchetto a Dudley era la cosa più sensata da fare, infondo erano soltanto degli stupidi dolcetti.. No?!
Forse ci teneva tanto perché era la prima volta, nella sua vita, che Harry riceveva un regalo. La prima volta che qualcosa era davvero sua, e di nessun’altro.
“Le cose stanno così, eh?” Dudley era pericolosamente vicino.. “Allora beccati questo, quattrocchi!”.
E lo colpì in pieno viso, scaraventando gli occhiali chissà dove; prima che Harry potesse rendersene conto, venne sollevato da terra e trascinato di peso nella casetta giocattolo al centro del cortile.
Udì la porticina venire chiusa precipitosamente e rimase disteso sull’erba morbida e fresca, con le orecchie che gli ronzavano e la vista appannata. La testa pulsava violentemente.
Le voci dei bulletti arrivavano in modo ovattato alle orecchie di Harry: “Lasciamolo qui e andiamocene!” “Giusto, così impara a fare il gradasso” “Se l’è cercata, e se prova a dirlo a qualcuno avrà il resto”.
Sghignazzarono tutti di gusto, mentre Harry arrancò per cercare di aprire la porticina di plastica colorata: era bloccata.
Pensò con orrore che l’intervallo era finito da un pezzo, e tutti dovevano essere tornati in classe.. Nessuno avrebbe mai sospettato che lui era chiuso lì dentro, e probabilmente sarebbe rimasto lì fino alla fine delle lezioni o addirittura fino alla mattina successiva!
Proprio non capiva perché dovevano succedergli cose del genere. Cosa aveva fatto di male per meritarsi i maltrattamenti di Dudley? Perché nessuno si preoccupava mai per lui?
In quel momento si sentiva invisibile, impotente e completamente solo.
Il piccolo Harry era assorto nei suoi pensieri, a tal punto da non accorgersi che la porta prima chiusa a chiave, adesso era spalancata. Fino a che la sua attenzione non fu richiamata da due grandi occhi neri e un naso lentigginoso a pochi centimetri dal suo viso: Harry sussultò per un attimo e mise a fuoco la figura di una bambina minuta che era accovacciata vicino a lui e lo fissava con uno sguardo vispo e un po’ incuriosito.
“Va tutto bene? Hai qualcosa di rotto?” chiese lei in tono preoccupato, che stonava in modo un po’ inquietante con i suoi occhi spalancati di sorpresa.
“I-io credo d-di no…” balbettò Harry in fretta e cercò di rimettersi in piedi, ma una fitta alla testa lo fece barcollare e cadere al suolo.
La strana bambina gli tese la mano senza dire nulla, continuando a guardarlo insistentemente.
Harry l’afferrò mormorando un grazie ed insieme uscirono dalla casa giocattolo, quando improvvisamente la luce aranciata del
tramonto gli colpì le lenti: quanto tempo aveva passato lì dentro?
Con la testa che ancora gli girava, rivolse lo sguardo alla sua salvatrice: ora era voltata di spalle e sembrava stesse cercando qualcosa, il caschetto scuro e arruffato svolazzava in ogni direzione ed Harry si chiese cosa stesse facendo.
Lei, quasi come se gli avesse letto nel pensiero, commentò a bassa voce: “Stavo cercando il tuo sacchetto del pranzo, ma credo che qualcuno lo abbia rubato”.
“Oh sì… quello. Be’, dev’essere stato mio cugino Dudley, non importa.” Rispose Harry mordendosi il labbro con aria affranta.
“Mh-mh, capisco.” annuì la bambina con il tono di chi è curioso ma troppo cortese per chiedere di più.
Poi si mise una mano nella tasca dei pantaloni e ne cacciò una confezione nera e rossa che aprì velocemente: era una barretta di cioccolato piuttosto doppia.
Ne spezzò metà e la porse ad Harry, che la guardò stranito e confuso, un po’ sorpreso da quel gesto.
“Prendilo, è con il doppio caramello” lo incoraggiò lei come se stesse parlando di una cosa molto pregiata, così Harry si decise ed afferrò il dolce: era effettivamente la cosa più buona che avesse mai mangiato fino a quel momento.
Il viso di Harry dovette essersi trasfigurato di delizia perché la ragazzina rise di gusto: “Buona vero? E’ la preferita della nonna, io invece preferisco il Nougat.” Gli spiegò con un gran sorriso.
Sua nonna? Harry collegò immediatamente, aveva già visto la bambina, quella mattina in cortile, parlare con Vera Van Wincklewick! Era sua nipote!
Tuttavia si chiese come mai fosse così gentile con lui: nemmeno si conoscevano! Solitamente le persone non erano cortesi con Harry, lo “strambo nipote dei Dursley”; per lo più era abituato ad essere preso in giro o, nel migliore dei casi, ignorato.
Quella bambina gli sembrò diversa da tutte le persone che aveva incontrato fino a quel momento.
Si accorse che lei lo stava scrutando attentamente, quasi come se avesse scoperto una nuova interessantissima specie animale.
Harry arrossì violentemente: aveva gli occhiali tenuti insieme dallo scotch (dopotutto era il sacco da boxe preferito di suo cugino) e l’uniforme scolastica larga tre volte lui, che lo faceva assomigliare ad un sacco di patate. Pensò che la ragazzina sarebbe scoppiata a ridere da un momento all’altro.
Lei non lo fece, e disse d’un tratto: “Be’, allora io vado. Ci vediamo domani a scuola.” e gli rivolse un gran sorriso: Harry notò che le mancavano i due denti davanti, e nel complesso aveva un aspetto piuttosto buffo.
Harry era perplesso e tante domande affollavano la sua mente, mentre lei gli aveva dato le spalle e si avviava verso il cancello.
“Hey! Aspetta un attimo! I-io.. cioè tu..?”
“Io sono Laila. E’ stato un piacere incontrarti, Harry!”.
Aspetta un attimo. Harry? Lo aveva chiamato per nome? Come faceva a conoscere il suo nome? Non l’aveva vista se non di sfuggita prima di allora.
Prima che Harry potesse replicare alcunché, era sparita nel tramonto fiammeggiante.
*Angolo dell'idiota autrice*
Salve popolo di EFP! Dopo anni di inattività ho deciso di pubblicare questa fanfiction.. Lo so, lo so, sono terribile. Sono cambiate tantissime cose dall'ultima volta che ho pubblicato qui: mi sono iscritta al sito che ero una completa adolescema e ora ho quasi 21 anni. E bazzico ancora qui su. Eh già, la mia vita è alquanto nefasta.
Ma bando alle ciance: questa fanfiction mi ronza in testa da almeno una decina d'anni, ho cominciato a scriverla diversi anni fa ma cambiando computer persi tutti i capitoli (e grazie al Cielo, erano penosi), in un momento di nullafacenza universitaria e scazzo universale taedium vitae ho deciso di riprenderla sotto mano, lasciando l'idea originale invariata quasi per rispetto alle me stessa versione ragazzetta nerd e sfigata che aveva concepito questa storia malsana e disagiata.
Probabilmente è un qualcosa di trito e ritrito, ma avevo lo sfizio di pubblicarla e vedere cosa ne pensate voi.
Ho deciso di inserire un OC, ossia un Nuovo Personaggio, perchè sì insomma.. Tutti abbiamo desiderato almeno una volta di far parte della storia di Harry Potter. Chi dice di no sta mentendo spudoratamente.
Questo personaggio è nato un po' come una Mary Sue, lo ammetto, chiedo venia e vado a fustigarmi con il cilicio :') tuttavia con gli anni e la saggia verecondia che la vecchiaia mi ha conferito (sto a parlà come Silente..) ho cercato di stravolgere completamente questo personaggio, rendendolo quanto più possibile vicina al lettore (no, grazie a Merlino non mi sono ancora dimenticata com'è avere 15 anni).
E nulla detto questo mi smaterializzo dileguo e vi chiedo di scrivermi, se vi va, cosa sinceramente pensate di questo Prologo!
Vi confesso che io stessa lo trovo leggermente noioso e prolisso, tuttavia mi è essenziale per la continuazione della storia. E' stato un po' difficile "mettermi nei panni" di un Harry bambino ma spero di esserci riuscita nel modo più naturale e spontaneo possibile.
A presto, la vostra
Laila Inkheart