LA RAGAZZA CHE SCOMPARE E RIAPPARE

NOTE DELL'AUTRICE

Questo racconto è la trasposizione dell'opera letteraria "Harry Potter" di J.K. Rowling presentata dal punto di vista del personaggio Hermione Granger. Molti capitoli saranno dunque simili ad una trascrizione dell'opera stessa, con gli stessi avvenimenti, gli stessi personaggi, le stesse ambientazioni e, delle volte, le stesse battute. Ci tengo a sottolineare che questi elementi appena citati appartengono alla Rowling e NON a me. In ogni caso, alla fine di ogni capitolo, sarà riportato un elenco di tutto ciò che è stato preso in prestito dal mondo della Rowling. Se questo mio prendere in prestito l'opera vi infastidisce, non proseguite nella lettura. Per approfondire caratteristiche e punti di vista di Hermione Granger, mi sono in parte documentata attraverso il materiale pubblicato dalla Rowling stessa, mentre in parte ho lavorato di fantasia. Grazie dell'attenzione e buona lettura. Conlatestatralenuvole.

***

Il signore e la signora Granger rappresentavano la tipica famigliola inglese. Abitavano in una piccola villetta a schiera con le pareti dipinte di bianco, ampie finestre e un piccolo giardino ben curato contornato da una bassa staccionata, anch'essa bianca, che lo separava dalla tranquilla strada di città. I pavimenti della casa erano interamente rivestiti di soffice moquette color sabbia, quadri e fotografie abbellivano il corridoio d'ingresso e sui fornelli della cucina ribolliva sempre il pentolino con l'acqua per il tè. Il tavolino di vetro nel salotto buono, era sempre apparecchiato con un raffinato servizio di tazzine, piattini e zuccheriera con un grande fiore rosa in rilievo e il bordino interno dello stesso colore. In un vicino barattolo di terracotta bianca, i biscotti allo zenzero sembravano non finire mai. Sulla parete dall'altro lato del tavolino di vetro, un mobile a parete ospitava, da una parte, la cristalliera con tutta l'argenteria e i piatti da collezione della signora Granger, dall'altra, la collezione di scacchiere e pedine da gioco del signor Granger, ricavate con i materiali più svariati: pezzi in legno, ferro, argento, personaggi dipinti a mano e dalle forme inusuali, bardati d'oro o ricoperti di velluto. Tra una scacchiera e l'altra, quasi non si contavano i manuali di scacchi e le biografie dei più grandi giocatori al mondo, rilegate in pelle. Proprio al centro, dove il mobile, seguendo la parete, formava un angolo, si stagliava l'orgoglio della famiglia: un piccolo televisore a schermo piatto di forma cubica che era entarto nella casa circa due Natali prima. Insomma, economicamente il signore e la signora Granger se la cavavano piuttosto bene. Erano entrambi dentisti, e tra i migliori di tutta Londra. Possedevano un ambulatorio privato poco fuori dal centro della città, dove lavoravano sei giorni su sette per undici mesi l'anno. Nella colorata sala d'attesa, che poteva vantare una stupenda vista sul Tamigi, tra le poltrone a righe gialle e arancioni c'era un tavolinetto rotondo dalle gambe marrone scuro a mongolfiera e dalla superficie formata da tre cerchi concentrici: uno ardesia, uno più stretto rosa e l'ultimo, più amplio, di un colore tra il grigio e l'azzuro. Proprio al centro del terzo cerchio erano impilati con grande ordine una serie di opuscoli dall'aspetto severo che sembravano appartenere ad una sorta di movimento anti caramelle di cui i coniugi Granger dovevano evidentemente far parte. Riguardo a quest'ultimo particolare, ne sapeva qualcosa la signorina Hermione Granger, l'unica figlia dei due famosi dentisti. Eh, sì, perché il signore e la signora Granger erano anche padre e madre di una ragazzina di quasi dodici anni molto responsabile, diligente e ubbidiente. Una ragazza di cui essere orgogliosi, insomma, e la prima cosa che alla piccola Hermione era stata insegnata, prima ancora che lei imparasse a reggersi dritta sulle due gambe, era stato proprio che le caramelle fanno male. Perciò, ovviamente, Hermione non ne aveva mai mangiata neanche una in tutta la sua giovane vita, né col consenso, né di nascosto, né di proposito, né per sbaglio, né per Halloween, né per Natale, e neanche alle feste di compleanno. Declinava sempre gentilmente ogni offerta e mamma e papà non avrebbero mai potuto essere più fieri della sua spiccata saggezza e del suo senso del rigore.
 Quel piovoso pomeriggio di mezza estate, però, Hermione non si sentiva esattamente orgogliosa di sé. A casa da sola, come del resto accadeva quasi sempre, se ne stava stesa sul lenzulo bianco del suo letto a contemplare il soffitto e a contare le strisce rosa della carta da parati che scendevano da lì. Se la mamma l'avesse vista sulle lenzuola pulite tutta vestita, pensò, sicuramente si sarebbe arrabbiata, anzi, infuriata. Inoltre, aveva un programma preciso per quel pomeriggio, un programma che, come sempre, per evitare di dimenticarsi, era appeso dalla sera precedente con una puntina all'asse centrale della libreria in legno; un programma secondo cui era già in ritardo di una ventina di minuti. Anche se mancava poco più di un mese al ritorno a scuola, e lei era la prima in tutte le materie, avrebbe dovuto infatti studiare per due ore il dodicesimo capitolo del nuovo libro di storia. Poi si sarebbe presa venti minuti per farsi una doccia e, già in pigiama, avrebbe aiutato la mamma con la cena non appena fosse tornata dal lavoro. In realtà, sapeva benissimo che non era necessario passare quelle due ore china sui libri e che tutte le personi "normali" studiavano un capitolo solo dopo che l'insegnante lo aveva assegnato, senza contare il fatto che non sarebbero arrivati al capitolo dodici prima di marzo o aprile dell'anno successivo, ma era propio questo il punto: Hermione non era una persona "normale", ed era questo il motivo per cui se ne stava inerte sul suo letto anziché tener fede al suo programma. Il suo problema non era tanto quel bisogno di imparare a memoria tutti i libri prima ancora dell'inizio dell'anno scolastico, ma il fatto che senza volerlo, delle volte, faceva accadere cose strane; cose che proprio non si sapeva spiegare. Erano cose, quelle cose, che quando era più piccola la divertivano da matti, ma che adesso si aggiungevano ad un'infinita lista di motivi per cui i suoi compagni di scuola non facevano altro che prenderla in giro. Proprio quel giorno, per esempio, era uscita per la sua consueta passeggiata nel parchetto delle undici e mezza. Solitamente, Hermione, non era autorizzata ad uscire di casa da sola, ma dato che il parco era a soli due isolati di distanza, i suoi genitori avevano fatto un'eccezione. Stava seduta su di un'altalena, quando le si era avvicinata una sua compagna di scuola, Matilda, chiedendole se le andava di fare una piccola gara e vedere quanti salti riusciva a far fare ad un sassolino prima che affondasse nell'acqua del laghetto delle anatre. Hermione lo trovava un gioco stupido e di certo niente affatto equo: un minimo cambiamento del vento avrebbe potuto compromettere il risultato, per non parlare del fatto che i sassolini sulla riva del laghetto non erano tutti uguali tra di loro, ma non capitava spesso che qualcuno le chiedesse di giocare, per cui era scesa dall'altalena e aveva seguito Matilda fino al laghetto. Dieci minuti più tardi, Hermione non era riuscita a far rimbalzare neanche una volta nessuno di quei maledetti sassolini sulla superficie dell'acqua, mentre Matilda era riuscita a fargli compiere fino a quattro salti consecutivi.
-Si è fatto un po' tardi. Tra poco devo andare.
Aveva detto Hermione dopo aver dato un'occhiata veloce al suo nuovo orologio dal cinturino rosso di pelle – era già passato mezzogiorno e avrebbe dovuto tornare a casa per prepararsi il pranzo, finirlo entro le due, e poi andare a studiare storia.
-Come mai?
-Ho da fare.
Era stata la vaga risposta di Hermione, mentre giocherellava in modo distratto con la bandana scarlatta che le tenva su i capelli. Aveva imparato da tempo che parlare di scuola d'estate non era molto utile per migliorare la sua reputazione.
-Scommetto che devi studiare.
Un piccolo ghigno si era formato sul volto della ragazza. Hermione aveva stretto le labbra e aveva continuato a tormentare la piccola fascia di stoffa, gli occhi puntati a terra per l'imbarazzo.
-Se lo dicessi a qualcuno ti prenderebbero in giro fino all'estate prossima.
Hermione avrebbe potuto mettersi a piangere. Magari l'avessero soltanto presa in giro, ma la spintonavano, le facevano sgambetti, le rubavano le cose e gliele nascondevano nei posti più assurdi.
-Ti prego, non lo fare.
Aveva mormorato così piano, che sperava Matilda non fosse riuscita a capirla. Invece, per sua sfortuna, c'era riuscita eccome, e un lampo maligno le si era acceso negli occhi.
-Facciamo così, allora: lanciamo i sassi un'ultima volta. Se vinci tu, mi tuffo nel laghetto e prometto di non dire niente, ma se vinco io, sarai tu a tuffarti nel laghetto e tutta la scuola saprà che studi sempre anche d'estate, secchiona.
Secchiona. Odiava quella parola. Ormai, però, non le sarebbe convenuto più tirarsi indietro.
   Il primo turno era stato di Matilda, e il suo sasso aveva compiuto tre balzi. Hermione si era concentrata nell'osservare attentamente la forma del sasso da scegliere e nel movimento fluido da far compiere alla mano. Non avrebbe potuto permettersi di sbagliare. Così, scelto un sasso il più simile possibile a quello della sua compagna di scuola, si era concentrata al massimo nel tirarlo, ma la piccola pietra non aveva neanche accennato a rimbalzare. Matilda stava già per mettersi a ridere di gusto, quando, nel giro di un secondo, il sasso di Hermione era improvvisamente uscito dall'acqua per poi effettuare quattro maestosi, eleganti balzi ed affondare una seconda volta molto più avanti. Hermione era stupefatta, ma, prima che potesse accorgersene, Matilda si era alzata in piedi e le aveva dato uno spintone. Chiamandola imbrogliona, bugiarda, secchiona, era corsa quasi in lacrime dal fratello più grande, che stava seduto su una panchina a chiacchierare con gli amici. Hermione era corsa via prima che il ragazzo la potesse raggiungere, ma sapeva che il ritorno a scuola sarebbe stato un incubo, anche più dell'anno precedente. Inoltre era corsa via troppo velocemente e, poiché il fratello di Matilda la spaventava, era sicura di averlo fatto un'altra volta. Una di quelle cose che in lei non era affatto normale. Si era alzata in piedi per correre via dal parchetto e, senza neanche rendersene conto, era di nuovo in camera sua. Certo che non se ne era resa conto, lo sapeva bene, anche se non aveva veramente idea di come fosse possibile: i due isolati fino a casa sua non erano mai stati percorsi e il portone d'ingresso era sempre rimasto chiuso, ma un attimo prima si trovava in un posto, l'attimo dopo in un altro. Succedeva spesso quando era arrabbiata o spaventata e voleva scappare in un luogo diverso. Per questo la chiamavano codarda, strana, pensavano si nascondesse, non che se ne andasse, ma non era colpa sua. Lei pensava solo di scappare e il suo corpo lo faceva, agiva in completa autonomia. Quando era tornata in camera dal parco, la testa le girava così tanto che era stata costretta a sdraiarsi sul letto, e anche ora che stava meglio, era troppo giù di morale per alzarsi. Quello che era accaduto al suo sasso poco prima e il fatto che riusciva ad andare da un posto all'altro in pochi secondi, non erano le uniche cose non normali che le capitavano. Un altro fatto bizzarro che succedeva di continuo, era che, se pensava ad un oggetto molto intensamente, quello, spesso e volentieri, le appariva davanti agli occhi, come per magia. Non sempre riusciva a farlo apposta, però. La maggior parte delle volte doveva capitare mentre non ci faceva caso. Durante l'ultimo anno, comunque, quando queste strane situazioni avevano cominciato ad aumentare, un paio di volte alla settimana faceva spazio nel suo programma quotidiano ad una mezzoretta di allenamenti magici, come le piaceva chiamarli. In quelle mezz'ore, si concedeva di fantasticare sull'appartenere a una segreta e ristrettissima cerchia di persone dai poteri magici e si sforzava di padroneggiare e perfezionare tutte quelle azioni che la rendevano strana agli occhi della gente. Annotava su un diario segreto con tanto di lucchetto ogni minimo progresso. In quell'anno, per esempio, era riuscita ben cinque volte a cambiare stanza senza camminare. Solitamente riusciva a finire in una stanza al suo stesso piano, quello di sopra, ma l'ultima volta era riuscita a ritrovarsi nella cucina. Dopo aveva vomitato per quasi un'ora, ma non era mai stata così felice in vita sua. E poi, comunque, ormai sapeva che fosse normale sentirsi male dopo aver cambiato posto così rapidamente.
   Immobile sul suo letto, ormai quasi incurante del suo irrispettato programma, Hermione si concentrò più che potè e cercò di far apparire accanto a sé il suo libro preferito, un volume per studenti universitari sulla scienza dei pianeti e delle stelle. Le era sempre piaciuto immergersi nelle meraviglie dello spazio e immaginarsi abitante di un pianeta in una galassia remota, lontana da tutto e da tutti, circondata da gente strana come lei, che studiava tutto il giorno e riusciva a scomparire misteriosamente di tanto in tanto. Ed ecco che, se anche solitamente richiamare col pensiero a sé oggetti che si trovavano nella sua stessa stanza le riusciva abbastanza bene, quel piovoso pomeriggio di mezza estate un libro sfrecciò sul cuscino del letto, ma non era il suo caro volume di astronomia; era piuttosto un libro altrettanto vecchio, ma un po' meno corposo. Un libro che era certa non aver mai visto prima. Sembrava provenire da una biblioteca, a giudicare dal bollino attaccato sulla fragile copertina, ma lo stemma di quella biblioteca non lo conosceva per niente. Eppure, aveva preso in prestito libri da tutte le biblioteche di Londra. Dopo dieci minuti buoni di riflessione, Hermione era arrivata alla conclusione che quello strano libro doveva appartenere al signor Fogg, il suo dirimpettaio, un anziano e mingherlino signore che usava portare strani cappelli a punta. Gli evidenti motivi per cui il volume doveva essere suo – come poteva essere stata così sciocca da non pensarci prima? - erano ben due: entrambe le loro finestre erano spalancate, quindi il libro era potuto passare da una casa all'altra senza trovare intralci (nei suoi esperimenti Hermione aveva già capito, non senza combinare qualche piccolo disastro, che gli oggetti non riuscivano a scomparire e riapparire come lei, ma semplicemente sfrecciavano ad altissima velocità quando li chiamava, quindi se non avessero avuto alcuna possibilità di raggiungerla, avrebbero semplicemente sbattuto contro la parete, la finestra o la porta e sarebbero finiti a terra), e soprattutto il signor Fogg era originario del Galles, quindi era possibile che l'avesse preso in prestito in una biblioteca da quelle parti. Hermione guardò il piccolo stemma un'altra volta. Era bellissimo. Il più bello stemma che avesse mai visto, dall'aria antica e nobile. Ricordava, in effetti, l'insegna di una potente famiglia, di quelle che abitavano in grandi ville con immensi giardini pieni di fontane, roseti e piccoli labirinti di siepi. Lo scudo accartocciato dai bordi dorati che ornava il bollino attaccato sul dorso del libro, era diviso in quattro quadranti di colori diversi, al centro di ognuno dei quali era raffigurato un animale. In alto a destra c'era un leone rampante giallo su sfondo rosso e accanto ad esso faceva la sua apparizione un serpente argentato su sfondo verde. Proprio sotto al leone, un quadrante giallo conteneva un piccolo tasso marrone, mentre in basso a sinistra si poteva osservare un'aquila bronzea su campo blu. Due blasoni, uno al di sopra e uno al di sotto dello scudo, recitavano scritte troppo piccole perché la ragazza potesse riuscire a decifrarle. Sulla copertina scura, sopra al disegno di un castello con torri dallo stereotipico tetto a cono, era riportato il seguente titolo: Storia di Hogwarts, di Bathilda Bagshot. Hermione sapeva che non era saggio curiosare tra le cose altrui, per cui non si permise di aprire il libro, ma radunò tutte le sue enciclopedie di letteratura, storia e geografia alla ricerca dei nomi Bathilda Bagshot e Hogwarts. Che fosse il castello stilizzato sul libro? Passarono le ore, ma di quei due strani nomi non c'era alcuna traccia. Così, nonostante il signor Fogg la mettesse in soggezione e non avrebbe potuto né saputo spiegargli il perché "Storia di Hogwarts" fosse già in suo possesso, Hermione raccolse tutto il suo coraggio, si strinse il volume al petto, e attraversò la strada diretta a casa del suo dirimpettaio, decisa a chiedergli il permesso di sfogliare quelle preziose e misteriose pagine. Il sole aveva già iniziato a tramontare e i lampioni si erano accesi quasi dappertutto, pronti ad illuminare la strada a coloro che viaggiavano di notte. Il giardino del signor Fogg era sorprendentemente disordinato, e la porta a cui la giovane Granger bussò era scorticata su tutto il lato destro. L'anziano vicino di casa aprì quasi subito la porta. Portava indosso un mantello blu scuro che sembrava troppo caldo per la stagione sopra quelle che sembravano delle calzamglia bianche a pois neri. Sulla testa era ben fermo un cappello a punta viola. Hermione aprì la bocca per parlare, ma il signor Fogg non gliene diede occasione.
-Allora, l'hai letto?
Chiese con un luccichio di trepidazione negli occhi.
Hermione chiuse di scatto la bocca per la sorpresa e strinse automaticamente più forte il libro al petto. Che il vecchio uomo pensasse glielo avesse rubato? Magari conteneva informazioni personali che non aveva intenzione di condividere. Hermione si riscosse dallo stupore. Non potevano essere informazioni personali. Era il libro di una biblioteca. Magari era solo preoccupato di non trovarlo in tempo per la riconsegna. La ragazza scosse la testa.
-E cosa aspetti, dannazione? Quanto mi fa piacere che tu sia diversa da loro. Ci sono davvero troppi babbani in questo quartiere. Il libro è tuo, comunque. Te lo regalo.
E così dicendo, si chiuse la porta alle spalle, lasciando Hermione imbambolata a fissare il pomello d'ottone che sembrava volersi staccare.
   La ragazza aveva talmente tante domande che le frullavano per la testa, mentre rientrava in casa, che, stranamente, non cercò una risposta a nessuna di esse. Era troppo emozionata dall'idea di leggere quel nuovo libro. L'idea di imparare cose nuove la eccitava sempre, questo era vero, ma quel piccolo volume in particolare riluceva ai suoi occhi di un fascino tutto diverso che non riusciva proprio a spiegarsi. Aveva appena aperto la prima pagina, dove insieme ai ringraziamenti dell'autrice era scritto a grandi caratteri "questo libro è foderato in pelle di drago ottenuta senza maltrattamenti di alcun tipo, nel rispetto dei lettori, dell'ambiente e di ogni creatura magica" (draghi? Creature magiche? Che cos'era, una specie di scherzo?), quando sentì la macchina dei suoi genitori parcheggiarsi sul ciglio della strada e seppe di dover andare a preparare la tavola per la cena. Posò il libro sulla scrivania di legno e, dopo aver dato un'ultima occhiata al suo programma dove la voce studiare storia non era ancora stata spuntata, strappò in quattro pezzi quello stupido foglio di carta. Non era da lei comportarsi così, ma il capitolo dodici poteva aspettare. Hermione non credeva nel destino, nella predestinazione o in sciocchezze simili, ma se il testo della biblioteca dallo stemma colorato era arrivato da lei, forse un motivo ci doveva essere.

NOTE DELL'AUTRICE

Elementi ripresi da J.K. Rowling: Hermione Granger, il signore e a signora Granger, il libro "Storia di Hogwarts" (titolo originale: Hogwarts, a history), Bathilda Bagshot (conosciuta anche come Bathilda Bath).

Ringraziamenti speciali a chi è arrivato fino in fondo, e ancora di più a chi aspetterà il prossimo aggiornamento (il secondo capitolo uscirà tra quattro o cinque giorni, ve lo prometto). Fatemi sapere che cosa ne pensate. Grazie ancora per l'attenzione. Conlatestatralenuvole





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