Note alla storia

Autore/data: Ida59 – 27-31 gennaio 2014
Beta-reader:nessuno
Tipologia:song-fic
Rating:per tutti
Genere:angst, introspettivo, sentimentale
Personaggi: Severus, Minerva, (Albus e Personaggio originale: presenti in forma indiretta).
Pairing: Severus/Personaggio originale
Epoca: 7° anno
Avvertimenti: AU
Riassunto:Come piccole lame taglienti, sembravano penetrargli nella carne, a cercare il suo cuore, per trafiggerlo ancora e ancora, sempre più a fondo, con maggiore crudeltà, con la forza disperata di chi rimpiange un amico per sempre perduto.
Parole/pagine: 2020 (1976 senza la canzone)/5
Nota: Storia scritta per l’iniziativa “A ritmo di musica” nell’ambito della Severus House Cup del Forum “Il Calderone di Severus”.

(Schubert) Winterreise  

3.  Lagrime di ghiaccio
 
Gelide gocce cadono
dalle mie guance:
forse non mi sono accorto
che stavo piangendo?
 
Ah lacrime, mie lacrime,
siete tanto tiepide
che in ghiaccio vi cambiate
come rugiada mattutina?
 
Eppur voi sgorgavate
roventi dal mio cuor
quasi voleste sciogliere
il ghiaccio di tutto l'inverno!
 
 
3. Gefror’ne Tränen
 
Gefrorne Tropfen fallen
Von meinen Wangen ab:
Ob es mir denn entgangen,
Daß ich geweinet hab'?
 
Ei Tränen, meine Tränen,
Und seid ihr gar so lau,
Daß ihr erstarrt zu Eise
Wie kühler Morgentau?
 
Und dringt doch aus der Quelle
Der Brust so glühend heiß,
Als wolltet ihr zerschmelzen
Des ganzen Winters Eis!
 


 
NOTA
Il testo del lied è utilizzato interamente.
 
Il lied può essere ascoltato (interprete Jonas Kaufmann) a partire dal minuto 6.53 a questo indirizzo: http://www.youtube.com/embed/qpSKwwYnhiQ
 
 

 

Ardenti lacrime di ghiaccio

 
 
Le lunghe dita dense e oscure della nebbia si allungavano rapaci dal Lago Nero e ne risalivano lente e pesanti le rive; poi si sfaldavano appena seguendo ordinate ed obbedienti la gelida brezza che le guidava, sospingendole ad addensarsi intorno alla Tomba Bianca, là dove un lungo mantello nero ondeggiava nell’aria magica che dirigeva la bruma risucchiandola dal lago.
L’incantesimo di occultamento, come sempre, era stato perfetto e se qualcuno lo avesse osservato dal castello - e il mago sapeva fin troppo bene che spesso Minerva indagava, con i suoi occhi acuti e stanchi, anche nel silenzio della notte -  avrebbe visto solo l’oscura figura di un mago nero passeggiare lenta sulla riva del lago alle prime luci dell’alba, il lungo mantello a carezzare piano l’erba intirizzita dal gelo, ed essere all’improvviso raggiunta ed avvolta da un esteso e spesso banco di nebbia in prossimità della Tomba Bianca.
Ma la nebbia magica occultava solo la visione dall’esterno: tutto era nitido e chiaro oltre la barriera grigiastra, il marmo bianco a brillare quasi di luce propria mentre l’odiato preside dei Mangiamorte si avvicinava alla tomba dell’uomo che aveva spietatamente ucciso sei mesi prima.
 
Gelide gocce cadono
dalle mie guance:
forse non mi sono accorto
che stavo piangendo?
 
Le lacrime, di nuovo, rigavano gelide le guance dell’assassino.
Eppure, Severus Piton non se ne accorgeva, lo sguardo cupo fisso sulla candida pietra, biancore d’innocenza che strideva con il nero da cui era circondato: quell’oscurità che lo opprimeva, lo soffocava, gli straziava l’anima sempre più.
Rimase fermo, immobile, la bacchetta che aveva creato l’incantesimo di occultamento ancora in mano, il braccio abbandonato molle lungo il corpo.
Era la stessa bacchetta, la stessa arma mortale che aveva ucciso l’amico.
Severus rabbrividì mordendosi un labbro: era gelida e scura quella nuova alba che si apriva sul suo presente senza futuro. Ed il passato giaceva lì ai suoi piedi, invece, l’amicizia racchiusa in quella tomba, così come l’amore era stato per tanti anni rinchiuso in un’altra tomba congelata: il suo cuore.
Il mago sospirò e ripose la bacchetta nella tasca interna del mantello. Poi, all’improvviso percepì le proprie lacrime, le sentì farsi di ghiaccio sulle guance.
Ancora una volta non se n’era accorto, ma stava piangendo.
Piangeva il dolore dell'amico perduto.
Fredde lacrime silenziose che, colme di sofferenza, rigavano lente il pallore del suo volto.
 
Ah lacrime, mie lacrime,
siete tanto tiepide
che in ghiaccio vi cambiate
come rugiada mattutina?
 
Nuove gocce, brucianti, pungevano insistenti i suoi occhi neri accecati dall’innocente biancore del marmo, che rendeva ancora più grave ogni sua colpa e faceva più tetra la sua povera anima già ridotta a brandelli.
Le sentì tracimare piano, trattenute e rallentate appena dalle lunghe ciglia, argine del tutto insufficiente ad arrestare il suo dolore. Uscivano calde e lente, per un istante sembravano quasi bruciare per contrasto sulla sua pelle fredda nell'aria chiara dell'alba; poi si tramutavano in piccole schegge di ghiaccio che si rapprendevano sul suo volto, pungendogli la pelle, ognuna a ricordargli una colpa, un rimorso, una vittima che non era riuscito a salvare. Come piccole lame taglienti, sembravano penetrargli nella carne, a cercare il suo cuore, per trafiggerlo ancora e ancora, sempre più a fondo, con maggiore crudeltà, con la forza disperata di chi rimpiange un amico per sempre perduto.
 
Eppur voi sgorgavate
roventi dal mio cuor
quasi voleste sciogliere
il ghiaccio di tutto l'inverno!
 
Ghiaccio sulla sua pelle, e rovente fuoco di sofferenza nel rogo del suo cuore.
Aveva solo compiuto il suo dovere, aveva eseguito l'ultimo ordine del suo unico amico, aveva accolto la sua implorazione di morire con dignità... Eppure, dopo tanti mesi, era sempre lo stesso lacerante dolore, la disperata sensazione di solitudine, il rimorso d'una scelta sbagliata compiuta tanti anni prima e che ancora lo inchiodava, implacabile e spietata, all'oscurità e alla solitudine.
Era a causa di quelle colpe lontane che era di nuovo solo, lontano anche da lei; lei che lo aveva perdonato, ed amato; lei che, esattamente come Albus, aveva messo la propria vita nella sue mani, con la stessa immensa, infinita fiducia.
Severus chiuse gli occhi sospirando piano.
Ricordava bene quella notte - mai avrebbe potuto dimenticarla! - quando lei lo aveva scelto, contro tutti e tutto, angelo o demone che fosse non le importava, e si era affidata a lui, alle sue mani di assassino.
Rivedeva ancora lo sguardo, ora come allora, azzurro e intenso ancora più di quello di Albus, colmo della stessa irriducibile fiducia. Ricordava il sorriso, pervaso di speranza, che si confondeva con quello del suo vecchio amico, così uguale eppure così diverso, colmo d'amore e di perdono. Perfino di desiderio.
Era davanti a quelle immagini che il suo cuore ardeva d'amore, e di rinuncia.
Aveva creduto d'averla perduta per sempre e, proprio come con Lily, aveva stretto a sé il suo corpo freddo di morte, desiderando davvero solo di poter morire, subito, il cuore trafitto da un dolore insopportabile e capace finalmente di ucciderlo in un istante.
Ma il fuoco divampava nel suo cuore, oggi come allora, ed era da quelle fiamme ardenti che sgorgavano le sue lacrime, roventi di disperazione, quasi volessero sciogliere il ghiaccio dell'eterno inverno che la sua vita era stata. Quell'inverno cui la primavera si rifiutava di seguire. Quell'inverno cui le colpe della sua giovane e folle primavera lo condannavano irrimediabilmente.
Nonostante tutto l'ardente fuoco d'amore del suo ostinato cuore.
Severus sapeva bene, però, che le sue lacrime, per quanto sgorgassero roventi dal cuore, non potevano sciogliere il gelo dell’inverno che attanagliava la sua vita. Il suo rimorso non era sufficiente, per quanto straziante fosse. Solo le sue azioni potevano rompere il ghiaccio dell’oscurità che lo circondava, nel quale di nuovo era volontariamente sprofondato per compiere il suo tremendo dovere. Il percorso della sua redenzione era ancora lungo, disseminato da atroce sofferenza, solitudine e disprezzo da parte di coloro per i quali continuava a combattere e per cui ogni giorno rischiava la vita.
Quella vita che era diventata immensamente importante da quando c’era lei.
Lei,con il suo appassionato amore ostinato, pronto a combattere contro il mondo intero per lui, e il suo dolce perdono, infinitamente bramato dalla sua anima perduta.
Severus scosse rassegnato il capo e sospirò piano, lasciando che quegli intensi e preziosi ricordi tornassero a depositarsi sul fondo del suo cuore, scrigno impenetrabile che li difendeva dal mondo.
Si avvicinò quindi lento alla tomba bianca, il lungo mantello nero che carezzava l’erba gelata, sfiorandola con delicata gentilezza, come le sue mani non potevano più fare con la pelle della donna che tanto amava.
La nebbia magica aleggiava ancora intorno al mago, penetrata appena dai primi tenui raggi del sole che sorgeva dietro le montagne di fronte a Hogwarts.
Si inginocchiò piano, la mano a sfiorare le lettere dorate del nome dell’amico che aveva sempre creduto in lui al punto da affidargli la propria morte, segno d’illimitata fiducia ma anche tremendo incarico da portare a termine che gli era costato, in quella notte orribile di sei mesi prima, tutto il suo coraggio.
Accarezzò le raffinate lettere del lungo nome, piano, seguendole con la punta delle dita sottili, metallo gelato che trasmetteva intensi brividi alla sua pelle.
- Albus…
Un sussurro roco, che gli graffiò la gola, esalato dal profondo del suo cuore disperato.
Una nuova lacrima, rovente ghiaccio colmo d’affetto, imprigionò la sua pelle e il primo raggio di sole del nuovo giorno si riflesse traendovi per un istante tutti i colori dell’iride.
- Albus… - ripeté il mago in un lungo sospiro, la voce tremante di commozione.
Poteva parlargli ogni giorno, in presidenza. Ma con il suo ritratto non era la stessa cosa che inginocchiarsi davanti alla sua tomba, le ginocchia conficcate nella terra gelata.
Sapeva che nessuno gli avrebbe risposto. Nessuna voce gioiosa sarebbe emersa dalla tomba, come invece accadeva con l’immagine del quadro che sempre cercava di consolarlo.
Non ce l’avrebbe mai fatta, da solo, senza il ritratto a fargli coraggio ogni giorno, a sostenerlo.
Albus lo aveva previsto e aveva istruito alla perfezione la tela impregnata di magia; chissà quanto tempo aveva impiegato per farlo, in quell’ultimo anno in cui il giovane mago aveva disperatamente ed inutilmente cercato un rimedio per la maledizione che era riuscito solo ad intrappolare per troppo poco tempo nella sua mano.
- Manterrò tutte le mie promesse, Albus.
Glielo ripeteva ogni volta che si inginocchiava a lato della sua tomba, sentendosi sempre più in colpa per non essere in grado di fare ciò che davvero voleva.
Gli studenti che Albus tanto amava erano ogni giorno vittime della crudeltà dei Carrow e solo di rado riusciva a mantenere fino in fondo la promessa fatta al vecchio mago. Anche se il ritratto gli sorrideva e annuiva soddisfatto per le sue azioni, a volta addirittura temerarie e che rischiavano di far saltare la sua agghiacciante copertura.
No, quello che faceva era sempre troppo poco, e Severus lo sapeva. Troppo poco per redimersi da tutte le sue colpe. Troppo poco per avere il diritto di potere essere felice con la donna che amava. Troppo poco. Sempre troppo poco. Nonostante il sorriso di Silente e lo scintillio dei suoi occhi azzurri dietro alle lenti a mezzaluna, magico simulacro di tela e colori di un amico perduto, ucciso dalle sue stesse mani.
Ancora un’altra lacrima, fuoco rovente che si faceva ghiaccio sul suo volto pallido nella nebbia incantata che diveniva sempre più luminosa ed evanescente.
Il mago scosse il capo sospirando, i lunghi capelli neri che ondeggiavano davanti al volto, poi si morse ancora un labbro, piano, e si rialzò mormorando con voce roca:
- Ci rivediamo tra poco in presidenza, Albus…
Doveva allontanarsi velocemente dalla tomba.
Altrimenti Minerva avrebbe scorto la sua ombra scura tra la nebbia magica che con lentezza si diradava nel giorno che pioveva dalle cime delle montagne.
Arretrò veloce scendendo verso il Lago Nero dove la nebbia era sempre densa e scura, ancora non sfiorata dai primi delicati raggi del sole. Tornò di nuovo verso l’oscurità che meritava, allontanandosi dal candore dell’innocenza, le lacrime di ghiaccio ancora ad imprigionargli la pelle pallida con brillanti perle di sofferenza che nessuno avrebbe mai potuto vedere.
Proseguì deciso allontanandosi dalla Tomba Bianca e tornando verso il castello.
Usci dalla nebbia all’improvviso, figura nera che appariva come dal nulla.
Alzò gli occhi alla finestra che conosceva fin troppo bene.
Minerva era là, dietro i tendoni verdi: il profilo della severa figura sottile si distingueva appena all’ondeggiare della fiamma della candela.
Un’altra lacrima, ancora, fuoco che diventa ghiaccio e tormenta il cuore.
Severus rallentò il passo e chiuse gli occhi sospirando.
La sua tortura giornaliera stava per ricominciare, davanti agli occhi della cara amica, colmi di odio e di dolore.
Poteva sopportare il suo odio, sapeva a priori che sarebbe arrivato, crudele e feroce, e si era preparato a riceverlo.
Ma non il suo dolore.
Non tutto quel dolore.
Minerva soffriva. Ma non solo per Albus, come il mago aveva previsto.
Soffriva anche per lui. Per il suo orrido tradimento. Per aver perso un giovane amico. Soffriva perché non riusciva a credere a ciò che era accaduto, alla sua tremenda azione. A ciò che stava accadendo ogni giorno al castello di Hogwarts invaso dai Mangiamorte. Non riusciva a credere che proprio lui, Severus, lo avesse ucciso. Che avesse ucciso il suo amico, l’uomo che aveva piena e incondizionata fiducia in lui. Che li avesse traditi tutti.
Era tutto quel dolore che Severus non riusciva a sopportare, quella enorme delusione che soffocava Minerva e che offuscava l’odio nel suo sguardo.
L’odio di Minerva, sì, lo meritava, se lo aspetta, era giusto.
Ma non il suo dolore, la delusione per l’amico cui aveva imparato a voler bene come un figlio.
Una lacrima, più ardente delle altre, nata dal suo filiale affetto, scese piano sulla guancia pallida e lenta arrivò sulle labbra sottili del mago, salata e colma di dolore.
Minerva non poteva vederla, dal castello. Minerva non avrebbe mai potuto sapere della sua esistenza.
Ma Severus gliela dedicò, con tutto l’affetto che non poteva rivelarle.
Se non poteva consolare il suo dolore, poteva però offrirle il proprio.
Tutto quello contenuto in quell’ardente lacrima di ghiaccio.
 
 
 
 
 
 
 

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