Come rovinare un matrimonio

Vestiti

Hermione Granger stava in piedi su una pedana in mezzo alla sala. Provarsi dei vestiti era sempre una scocciatura per lei, prendere misure, spogliarsi, rivestirsi, sudare senza ritegno, sentirsi mancar l’aria se qualcosa non era della giusta taglia per poi dire: “No, non mi piace…”, molto meglio starsene a casa a sorseggiare birra, strafogarsi di schifezze al cioccolato e guardare la tv. Peccato che a Hermione non piacesse niente di tutto ciò. Era una salutista per eccellenza e quindi non avrebbe mai bevuto troppa birra ne mangiato dolciumi a sbafo e non si sarebbe nemmeno arenata su un divano tutto il giorno. Ciò non vuol dire che di fronte ad una “prova abito” lei non avrebbe scelto l’opzione che meno le si addice.
-Hermione, Santo Cielo, ne hai ancora per molto tempo?- domandò seccata Ginny appoggiandosi al bancone. Aveva l’aria affaticata ed era rossa in viso, non solo nei capelli. Essere in gravidanza era un vero strazio per lei. Non faceva altro che mangiare a tutte le ore e sedersi ad intervalli regolari per il troppo dolore alla schiena. Capitava spesso che alle quattro del mattino chiedesse ad Harry di correre dal pasticcere a prendere una torta alle mele o al caffè, oppure che in mezzo a un centro commerciale si sedesse su delle casse d’acqua. Ginny Weasley non era la donna-tipo per affrontare con un bel sorrisone una gravidanza. Era agile e veloce un tempo sempre in mezzo ai suoi fratelli e amici pronta a giocare a Quidditch, a nascondino, a guerra di palle di neve ecc… era un maschiaccio, amava i pantaloni e le scarpe da ginnastica, adesso il suo lato naturale era rilegato in morbide tutine premaman o peggio, vestitini larghi in vita per permettere alla panciona di rilassarsi. Non riusciva a guardarsi allo specchio senza sbuffare. Amava molto quel bambino che portava in pancia, era tutto il resto a mandarla fuori di testa.
-Non so, non mi convince.- disse Hermione senza calcolare l’amica. Sembrava assorta nei suoi pensieri, molto distante da loro di qualche anno luce. Ginny sbuffò sonoramente e prendendosi con le mani i fianchi doloranti le andò incontro.
-Scusi solo un attimo - disse alla commessa visibilmente spazientita - Hermione! Ora basta, basta! Questo? Ti piace? Sì? Perfetto… prendiamolo e usciamo!- la rossa era scoppiata in fiamme, diventando un tutt’uno con il colore dei capelli. Aveva sfoderato il suo ghigno che di solito riservava per le liti con i suoi fratelli e adesso urlava attirando su di sé l’attenzione di mezzo negozio. Madame Julien non ci fece molto caso, voleva soltanto che le due ragazze prendessero un vestito e si levassero dai piedi!
-No, non mi piace quello. Ehy, Ginny! Ferma, ferma!- Hermione scese dal piedistallo e, stando attenta a non inciampare tra le stoffe e l’abito che indossava, corse dietro alla belva che stava portando un vestito a tubino color cremisi con un lieve strascico verso il bancone.
Hermione glielo tolse dalle mani con poco garbo e l’occhiata che le riservò non era niente di buono. Ne aveva fin sopra i capelli dell’abito da sposa, dei preparativi, degli inviti, delle bomboniere, dei ferma posto, della lista degli invitati e della scelta del luogo dove celebrare il matrimonio…
-Hermione, per favore.- la supplicò Ginny, stanca di accompagnarla in ogni negozio di vestiti che incontravano lungo la strada per poi liquidarli dopo ore di prove senza prender un solo capo.
-Scusa, ma non ne posso più.- prese il vestito e lo mise nelle mani della negoziante che le guardava con aria seccata e senza dire niente andò a cambiarsi. Gonna, maglietta e stivali. Ci mise due secondi e fu felice di poter tornare a respirare normalmente.
-Arrivederci e… ci scusi.- disse Hermione con occhi colpevoli e con un sorriso dolce accesso in volto. Trascinò fuori dal negozio Ginny prendendola per un braccio e ignorando la sua espressione dura, mentalmente la stava cruciando.
-Pazza, sei pazza. E ora? Era l’ultimo negozio che ci restava da visitare. Vuoi andare tra i babbani a cercare un maledetto abito da sposa? Bene, andiamo, ma dimmi che lì lo troverai.- Hermione scuoteva la testa mentre camminava a braccetto con l’amica che scalpitava e bofonchiava.
-Ginny, calmati. È il mio matrimonio, non il tuo. Un vestito vedrai che lo troverò.- ma con la testa era di nuovo altrove.
-Hermione, non c’è tempo!- scandì impuntandosi coi piedi per fermarsi. La riccia volse gli occhi al cielo e sbuffò, irritandosi. Se continuava così l’avrebbe scaricata lì. Era stufa persino della sua migliore amica. Era stufa di tutto.
-Manca ancora un mese, c’è tantissimo tempo!- Ginny divenne quasi verde dalla rabbia ma cercò di controllarsi, più che altro per paura di far del male anche al bambino, altrimenti avrebbe tirato fuori la sua indole da maschiaccio e l’avrebbe menata. Com’era possibile che a Hermione non importasse un accidente del suo matrimonio? È vero, erano successe parecchie cose, ma alla fine, aveva fatto una scelta. Ginny dubitava seriamente di conoscere ancora bene come una volta la sua amica. Prima si sarebbero capitato con un solo scambio di sguardi, adesso nemmeno a parole ci riuscivano.
-Ok, fa’ un po’ come ti pare. Io vado da Harry, se mi vuoi, sai dove trovarmi.- e senza aspettare una risposta prese la direzione opposta a quella di Hermione, la quale si accasciò su una panchina e prendendosi il viso fra le mani, sospirò:
-Non ci resisto così.-
Finalmente sola era libera di poter pensare a quanto assurda fosse la situazione in cui si era cacciata. Non era certo da lei aver commesso una serie di errori così gravi, ma in quel preciso istante non sapeva più distinguere quale fosse stata la via giusta da seguire e quale, invece, quella sbagliata.
Era giusto sposare Ron? Sarebbe stata felice se già adesso non lo era? Avrebbe continuato a fingere amore per il resto della vita oppure alla fine l’avrebbe amato veramente?
Una lacrima birichina uscì dagli occhi socchiusi di Hermione. Si sentiva a pezzi. In più non poteva confidarsi con nessuno. Ormai tutti credevano che lei volesse Ron per il resto della vita accanto a sé e per di più molti di essi erano fratelli, genitori o parenti di Ron stessi. Non erano le persone più giuste con cui condividere gli enormi dubbi che attraversavano Hermione in quel periodo. Odiava esser così crudele, con se stessa, con Ron e con tutti gli altri. Stava mentendo spudoratamente a tutti quanti, ma la bugia più grande che ogni giorno raccontava era quella a se stessa.
Io non lo penso, io amo Ron. Ogni mattina era il suo rituale ripeterlo mille volte. Come poteva il Cappello Parlante tredici anni prima averla assegnata alla Casata di Grifondoro, quando non riusciva nemmeno ad assumersi le proprie responsabilità e guardare in faccia la realtà. Non si stava comportando proprio da vera Grifondoro, doveva ammetterlo.
Ma adesso non era più ad Hogwarts, non aveva né undici anni né diciannove quando ne era uscita, la guerra era finita, aveva persino intrapreso la carriera di Auror per poi abbandonarla visto che fin da bambina aveva sempre coltivato l’amore per la medicina. Così si era iscritta all’università di Madrid. È vero, distante dall’Inghilterra, ma quando si è una giovane strega tutto è relativo, in più, essendo una scuola di medicina per maghi, la più prestigiosa, a dirla tutta, smaterializzarsi e materializzarsi era una cosa semplice e normale, basti pensare che affluivano in quella scuola studenti provenienti da tutto il mondo! Ma nonostante i successi a scuola, il riconoscimento e la fama nel Mondo Magico, l’affetto degli amici e dei genitori ritrovati, Hermione non era felice. Per lo meno non così, non adesso, non in un vicolo di Diagon Alley dopo essersi provata mille abiti da sposa, inutilmente.

 

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