Eileen era in cucina, china su una pentola il cui contenuto debordava sui fornelli. Con un cucchiaio stava tentando di salvare il salvabile, mentre con l’altra mano cercava la bacchetta  sul piano d’appoggio vicino al lavello. Appena la trovò spense il fuoco e ripulì tutto in un istante. Poi suonarono alla porta.
La donna era ormai in età avanzata, aveva i capelli grigi, rigati di bianco e riuniti in un’esile coda che le si poggiava sulla nuca. La pelle, quasi dello stesso colore della capigliatura, pendeva sotto al collo e sul suo viso.
Si mosse piano, mettendo ogni piede saldamente sul  pavimento prima di alzare l’altro, mentre con una mano appoggiata alla schiena, si raddrizzò.
Il campanello suonò ancora.
-Arrivo, arrivo!- protestò, cercando di aumentare l’andatura.
Alla fine giunse alla porta, sbuffando, e la aprì.
Oltre la soglia c’era un uomo di mezz’età, vestito alla bell’e meglio, con una tunica rattoppata, di almeno 4 colori diversi.
Non le diede il tempo di dire nulla, subito si prese la parola.
-Salve signora, scrivo per il Corriere della Strega e volevo chiederle…-
-Cosa diavolo vuole?-
-Posso farle qualche domanda? Come si sente? Cosa pensa dell’accaduto? Ha saputo particolari a noi ignoti di cui vuole metterci a parte?- a ogni domanda si era avvicinato sempre di più, sgranando man mano gli occhi.
-Mi dispiace non posso aiutarla – rispose quella, sbattendogli la porta in faccia, irritata e confusa.
Cosa diamine ci faceva la stampa lì? Cos’era successo? Pensò subito che evidentemente il suo ex marito aveva combinato qualche guaio o che uno dei suoi vicini era impazzito e si era tolto la vita. Succedono queste cose oggigiorno, si disse.
Non ebbe il tempo di fare altre supposizioni, che la porta suonò di nuovo.
-Cosa volete, per la miseria?!- gridò, avvicinandosi alla porta. –Non rilascerò alcuna dichiarazione alla stampa!-
Una voce profonda, completamente diversa da quella del giornalista di prima, rispose:
-Non sono della stampa signora, sono del Ministero della Magia. La prego di aprirmi –
La donna decise di fidarsi e obbedì.
Stavolta davanti a lei c’era un uomo enorme, completamente vestito di nero e avvolto in un pesante mantello da viaggio del medesimo colore, il viso era nascosto in parte da un cappuccio, quindi non riusciva a vederlo.
-Lei è la signora Eileen Piton?-
-Eileen Prince se non le dispiace, ho divorziato da mio marito vent’anni fa-
L’uomo si abbassò il cappuccio, era di pelle molto scura, aveva i capelli neri impiastricciati di sudore e un’espressione grave in viso.
Siccome non si decideva a parlare, Eileen riprese la parola.
-Cosa desidera?-
La donna sentì la lingua dell’uomo che si staccava dal palato prima di parlare.
-Abbiamo un posto tranquillo per parlare, fuori dalla portata di orecchie indiscrete?- chiese.
Eileen lo squadrò un’altra volta, strinse la bacchetta nel grembiule, poi disse.
-Sì, certo. Venga dentro…-
Lo fece accomodare in cucina, vicino al tavolo, e gli si sedette davanti.
L’uomo, rimasto per un attimo in silenzio, fece per parlare.
-Aspetti, Muffliato!- disse la donna, agitando la bacchetta, poi, vedendo il viso confuso e un po’ preoccupato di lui, si affrettò ad aggiungere – E’ per non essere ascoltati…l’ha inventato mio figlio…- l’entusiasmo nella voce di Eileen si spense sulla parola “figlio”, pensando a quanti anni erano che non si vedevano.
L’uomo parve non farcela più ad aspettare e, a quel punto, parlò.
-Bene,signora Prince. Sarò breve e conciso. Suo figlio è morto-
La notizia la colpì in pieno petto, sentì il cuore mancare un colpo, poi stringersi sempre di più, come se una mano lo stesse stritolando. Il respiro della vecchia signora era quasi inesistente ora. Poi le lacrime iniziarono a scendere, come acqua da un tubo che perde, senza singulti o lamenti, era solo acqua che cadeva su un pavimento.
L’omone era rimasto lì, in silenzio, per tutto quel tempo, alla fine decise di parlare di nuovo.
-Vuole…vuole sapere com’è accaduto?-
La donna annui, chiudendo gli occhi, senza però riuscire ad arrestare le lacrime. Quindi alzò lo sguardo e fissò l’uomo che le diceva che ad Hogwarts c’era stata una battaglia, che Voldemort era stato ucciso e che ora erano liberi. Che erano caduti un sacco di coraggiosi combattenti. Che suo figlio era stato ritrovato nella Stamberga Strillante senza vita, in una pozza di sangue, con il segno di un morso alla gola.
Pensò che non le importava cos’era successo, non le importava che Voldemort era stato sconfitto e che loro erano liberi. Dov’era suo figlio, per godersi quella libertà? E pensò anche che poteva chiamarli come voleva, i suoi “coraggiosi combattenti”, ma che questo non cambiava affatto le cose. Pensò anche che era stata una pessima madre. Dov’era lei mentre suo figlio era fuori a combattere? Dov’era quando lui era in pericolo? Quando lui, ferito, aveva cercato aiuto? Perché lei non c’era stata a mettersi tra lui e la morte?
Poi l’uomo si mise a dire che le esequie si sarebbero svolte l’indomani sera nel parco del castello di Hogwarts e che ovviamente era attesa là.
L’ultima cosa che pronunciò prima di uscire, furono le sue scuse per l’assalto dei giornalisti che la attendeva. Poi si Smaterializzò.

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