"Chi di voi ha fatto i compiti di storia della magia, o meglio, chi oltre Remus?" chiese James sbadigliando, stravaccato sul suo sedile.
"Ma perché devo sempre passare per il secchione del gruppo?" protestò l'interessato, fingendosi offeso.
"Forse perché lo sei?" ridacchiò Sirius, staccando la fronte dal finestrino e voltandosi verso gli altri. "Sai, vorrei essere io, ma ho come l'impressione che non sarei credibile".
"Veramente li ho fatti anch'io, solo che mi mancano venti centimetri di pergamena nel tema sulla rivolta dei goblin del 1348" biascicò Peter, riemergendo dal dormiveglia e allungandosi per prendere una cioccorana dal sedile di fronte dove faceva bella mostra una quantità disdicevole di dolci di ogni genere.
"Oh, no... questo è troppo! Vi siete coalizzati per farmi apparire un lavativo!" si lamentò James, con una smorfia divertita. "Sirius, se li hai fatti anche tu ti disconosco".
"Avrei tanto, ma tanto voluto, ma... disgraziatamente non ho potuto: sono stato preso con i miei impegni da aristocratico, sapete..." fece l'altro, in una piuttosto ben riuscita imitazione materna, scatenando le risa generali.
"A proposito, dov'è tuo fratello, Sirius? Sarei curioso di conoscerlo..." chiese Peter, infilandosi in bocca quel che rimaneva della cioccorana e appallottolando la carta, prima di cacciarsela in tasca. "Pensavo avrebbe fatto il viaggio con noi".
"E' nello scompartimento con mia cugina. Prima che salisse sul treno, mia madre si è assicurata che Narcissa lo prendesse con sé, per evitare che potesse venire con me e con... la gentaglia che frequento. Cissy,
naturalmente, non considera nessuno che non sia perbene" rispose Sirius con voce atona, cercando di non tradire nessuna emozione.
"Be', bastava aspettare che il treno partisse e poi sfuggire dalle grinfie di Narcissa, lontano dallo sguardo di tua madre, no?".
"Bastava per te, James, non per Regulus... lui ha il terrore di fare qualcosa che risulti sgradito ai miei, particolarmente a mia madre. Lui è un ragazzo come si deve, secondo loro, e non ha intenzione di deluderli... sono io quello fuori posto".
"Vorresti fosse smistato a Grifondoro?" domandò Remus, distogliendo lo sguardo dal paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.
Passò qualche secondo, prima che Sirius rispondesse. "Sì, vorrei. Ma non so se faccio bene a sperarci".
"Lui cosa vorrebbe?" chiese ancora Remus.
"In realtà credo che non lo sappia neanche lui, cosa vuole. Credo vorrebbe stare in casa con me, ma che abbia il terrore della reazione dei miei... è troppo legato a loro per poter rinunciare alla loro stima e a quella sottospecie di affetto familiare" si interruppe, abbassando lo sguardo. "Io continuo a sperare che il cappello faccia la scelta giusta, ma ho paura di ascoltare il verdetto, e so che se sarà un Serpeverde, le cose cambieranno tra noi... secondo me non è abbastanza forte da staccarsi dal gregge".
Il treno rallentò e si fermò con uno stridio di freni. Gli studenti, già accalcati nel corridoio, iniziarono a muoversi verso le uscite trascinandosi dietro i bagagli.
Presto furono tutti sulla banchina, le ombre della sera che già si facevano avvolgenti, l’aria umida che sembrava il preludio dell’autunno alle porte.
“Speriamo facciano in fretta, sto morendo di fame” bisbigliò Peter agli amici, mentre una fila di studenti del primo anno attraversava la sala per dare inizio alla cerimonia di smistamento.
“Ti sei sfondato di dolci in treno, penso potrai evitare il collasso per qualche altro minuto”.
“Fossi in te non ci conterei, James” fece Sirius, con aria stranamente assente. “Quello era solo uno spuntino da niente” aggiunse, prendendo a giocherellare nervosamente con il tovagliolo.
“Silenzio prego” scandì la voce severa della professoressa McGranitt dal fondo della sala. “Diamo inizio alla cerimonia di smistamento” proseguì, srotolando una pergamena che stringeva tra le mani e schiarendosi la voce prima di iniziare a leggere. “Dunque… Ambler Louise. Venga, signorina Ambler”.
Una ragazzina bionda uscì dalla fila e si avvicinò rapidamente allo sgabello, dove si sedette e prese a tormentarsi una ciocca di capelli che le era scesa davanti al viso. Non smise quando il cappello le fu calcato in testa e il silenzio nella sala si fece completo. La scelta fu quasi immediata e pochi secondi dopo trotterellava verso il tavolo dei Tassorosso, sorridendo a dei ragazzi che probabilmente già conosceva e che si stavano stringendo per farle posto.
“Black Regulus”.
Un ragazzo moro uscì dal centro della fila e si avviò verso lo sgabello fermandosi come a riprendere fiato, poi lo raggiunse e si sedette, serrando le dita sul bordo del sedile per dissimulare il tremito.
Suo fratello, seduto dall’altra parte della sala, si costrinse a non chiudere gli occhi quando il cappello fu calato. Restò a guardare quelle mani pallide serrate per un tempo che parve interminabile, conficcandosi le unghie nei palmi senza neanche avvertire il dolore. Sussultò quando qualcuno al suo fianco fece scricchiolare la panca, accorgendosi solo allora di non aver respirato per qualche secondo. Ancora silenzio, profondo, spietato, interminabile.
“Serpeverde!” annunciò il cappello con il consueto tono giulivo.
Serpeverde.
Regulus sembrò faticare ad alzarsi, come se le gambe non lo reggessero. Si avviò con passo incerto, poi acquistò velocità mentre attraversava la sala diretto al tavolo che lo attendeva. Non alzò mai lo sguardo. Non si girò. Non esitò più.
Serpeverde. Anche lui. È successo, ormai è troppo tardi. Serpeverde, Serpeverde, Serpeverde. Quella parola martellata nel cervello senza pietà. Tuo fratello è un Serpeverde. Non c’è più spazio per sperare.
“Sirius, non mangi?” chiese Remus, osservandolo.
“Sì, mi ero distratto”bofonchiò, faticando a parlare. Prese la forchetta e si portò alla bocca una patata,una di quelle che erano sempre state contese tra gli studenti e che avevano quel profumo incredibile che si sentiva già dalle scale. Patate croccanti e profumate che ora sapevano solo di fiele. Deglutì a fatica e attaccò la carne senza neanche masticarla, il sapore gli dava la nausea .
“Sono certa che non vorrai darci un dispiacere come tuo fratello, non è vero? Credo proprio che tuo padre faticherebbe a tollerarlo. Una mela marcia in famiglia è già troppo” aveva detto la madre, poco prima che salissero sul treno “Mi aspetto che tu non sia così ingrato da voler deludere la tua famiglia”.
La forchetta cadde sul piatto e si trovò già in piedi prima di rendersene conto. Non rispose a chi gli chiedeva dove stesse andando. Percorse i metri che lo separavano dalla porta a passo veloce e finalmente raggiunse l’ingresso. Ma anche lì il chiacchiericcio e le risate sembravano inseguirlo.
Sgusciò fuori dal portone socchiuso e scese a precipizio le scale d’ingresso senza quasi guardare dove metteva i piedi. Corse giù lungo il pendio e raggiunse la riva del lago dove rallentò e si lasciò cadere ai piedi di un albero, a pochi metri dall’acqua scura, che appariva immobile come un’enorme lastra di vetro nero.
Non aveva alzato la testa dal libro quando aveva sentito la maniglia abbassarsi: non ce n’era bisogno, avrebbe riconosciuto quel passo tra mille.
“Che leggi?” aveva domandato suo fratello sedendosi sul tappeto al suo fianco.
“Un libro sui fantasmi”.
“Di chi?”.
“Henry James”.
“E chi è?”.
“Uno scrittore dell’Ottocento”.
“Mai sentito… è famoso?”.
“Sì… ma è babbano, Reg. Sicuramente è per quello che non l’hai mai sentito”.
“Leggi libri babbani?”.
“Ovviamente sì, se sono interessanti” aveva risposto Sirius, girando la testa per guardarlo.
“Non ne ho mai letto uno”.
“Nel mio baule ce n’è qualcuno. Prendine uno se ti va”.
Regulus aveva esitato un attimo, poi si era chinato sul baule e ne aveva estratto una piccola pila di volumi, guardandoli con interesse.
“Reg?”.
“Mh ?”.
“Ma tu riesci a respirare qui dentro?”.
“In che senso?”.
“Voglio dire… non ci permettono di conoscere il mondo esterno, possiamo avere contatto solo con quello che va bene a loro. Non possiamo frequentare chi vogliamo, non possiamo fare nulla che si differenzi. Io mi sento soffocare… tu no?”.
Regulus aveva deglutito prima di rispondere, stringendo le mani sui libri che ancora teneva in mano. “Sì” aveva mormorato, quasi spaventato da quel che gli era uscito di bocca. “Ma questa è la mia famiglia” aveva aggiunto precipitosamente, la voce che gli tremava appena.
“Sirius?”.
Alzò la testa sentendosi chiamare. “Che c’è?” chiese, scorbutico.
“Volevo sapere come stessi” fece James, lasciandosi cadere sul prato al suo fianco “Quando sei uscito… sì, insomma, non mi sembrava stessi bene”.
“Non avrei voluto si vedesse” mormorò l’altro, la voce leggermente arrochita “Volevo… speravo di riuscire a prenderla diversamente o almeno di mostrarmi neutro ma come vedi ho miseramente fallito su tutta la linea”. Diede in una breve risata, poi riprese “Dammi pure del coglione, del resto lo sono stato. Solo un coglione poteva sperare che davvero lui avrebbe potuto fare una scelta diversa. Sì, lo so che la casa non si sceglie ma… c’è anche dell’altro in mio fratello, molto altro. Solo che è tutto schiacciato dall’involucro che gli hanno appiccicato i miei e che non ha la forza di scrollarsi di dosso. Io… sono convinto che avrebbe avuto una possibilità di trovare una strada diversa in un’altra casa… ora non ce l’ha più”. Deglutì, faticando a riprendere a parlare “Mia cugina Andromeda è stata a Serpeverde ed è… una persona per bene, diversa da tutto il resto della famiglia. La casa vuol dire fino a un certo punto ma… cazzo, James, per lui era diverso, lui non è abbastanza forte per tirarsene fuori da solo, ha bisogno di qualcuno che lo approvi, che lo faccia sentire protetto e so che lì diventerà come loro, si appiattirà per non sentirsi un diverso”. Si alzò di scatto e si avvicinò al lago, fermandosi a pochi centimetri dall’acqua e fissando lo sguardo prima verso la sponda opposta (ormai quasi inghiottita dalla notte) poi sul pelo dell’acqua che gli ricordò un’enorme bocca scavata nella Terra.
Si chinò a raccogliere un ciottolo dalla riva e se lo rigirò tra le mani in modo meccanico, la superficie ruvida e umida che gli raspava la pelle.
“Ho paura del loro giudizio Sirius… non voglio mi guardino come guardano te” aveva detto Regulus soltanto pochi giorni prima “Ma sarebbe così bello stare in casa insieme, questo anno senza di te è stato lunghissimo da passare. Forse… forse varrebbe la pena di… di dispiacerli” aveva balbettato, guardando il fratello con un’espressione di terrore dipinta sul viso, ma una strana luce ad illuminargli gli occhi.
“A quanto sembra non è valsa la pena” mormorò, la voce che gli moriva in gola “Non è decisamente valsa la pena” ripeté, faticando sempre di più a parlare. Aprì le dita e rimase a guardare il sasso cadere in basso, aprire un piccolo foro nell’acqua e sparire nell’abisso lasciandosi alle spalle solo un’increspatura che presto scomparve.
"Ma perché devo sempre passare per il secchione del gruppo?" protestò l'interessato, fingendosi offeso.
"Forse perché lo sei?" ridacchiò Sirius, staccando la fronte dal finestrino e voltandosi verso gli altri. "Sai, vorrei essere io, ma ho come l'impressione che non sarei credibile".
"Veramente li ho fatti anch'io, solo che mi mancano venti centimetri di pergamena nel tema sulla rivolta dei goblin del 1348" biascicò Peter, riemergendo dal dormiveglia e allungandosi per prendere una cioccorana dal sedile di fronte dove faceva bella mostra una quantità disdicevole di dolci di ogni genere.
"Oh, no... questo è troppo! Vi siete coalizzati per farmi apparire un lavativo!" si lamentò James, con una smorfia divertita. "Sirius, se li hai fatti anche tu ti disconosco".
"Avrei tanto, ma tanto voluto, ma... disgraziatamente non ho potuto: sono stato preso con i miei impegni da aristocratico, sapete..." fece l'altro, in una piuttosto ben riuscita imitazione materna, scatenando le risa generali.
"A proposito, dov'è tuo fratello, Sirius? Sarei curioso di conoscerlo..." chiese Peter, infilandosi in bocca quel che rimaneva della cioccorana e appallottolando la carta, prima di cacciarsela in tasca. "Pensavo avrebbe fatto il viaggio con noi".
"E' nello scompartimento con mia cugina. Prima che salisse sul treno, mia madre si è assicurata che Narcissa lo prendesse con sé, per evitare che potesse venire con me e con... la gentaglia che frequento. Cissy,
naturalmente, non considera nessuno che non sia perbene" rispose Sirius con voce atona, cercando di non tradire nessuna emozione.
"Be', bastava aspettare che il treno partisse e poi sfuggire dalle grinfie di Narcissa, lontano dallo sguardo di tua madre, no?".
"Bastava per te, James, non per Regulus... lui ha il terrore di fare qualcosa che risulti sgradito ai miei, particolarmente a mia madre. Lui è un ragazzo come si deve, secondo loro, e non ha intenzione di deluderli... sono io quello fuori posto".
"Vorresti fosse smistato a Grifondoro?" domandò Remus, distogliendo lo sguardo dal paesaggio che scorreva fuori dal finestrino.
Passò qualche secondo, prima che Sirius rispondesse. "Sì, vorrei. Ma non so se faccio bene a sperarci".
"Lui cosa vorrebbe?" chiese ancora Remus.
"In realtà credo che non lo sappia neanche lui, cosa vuole. Credo vorrebbe stare in casa con me, ma che abbia il terrore della reazione dei miei... è troppo legato a loro per poter rinunciare alla loro stima e a quella sottospecie di affetto familiare" si interruppe, abbassando lo sguardo. "Io continuo a sperare che il cappello faccia la scelta giusta, ma ho paura di ascoltare il verdetto, e so che se sarà un Serpeverde, le cose cambieranno tra noi... secondo me non è abbastanza forte da staccarsi dal gregge".
Il treno rallentò e si fermò con uno stridio di freni. Gli studenti, già accalcati nel corridoio, iniziarono a muoversi verso le uscite trascinandosi dietro i bagagli.
Presto furono tutti sulla banchina, le ombre della sera che già si facevano avvolgenti, l’aria umida che sembrava il preludio dell’autunno alle porte.
“Speriamo facciano in fretta, sto morendo di fame” bisbigliò Peter agli amici, mentre una fila di studenti del primo anno attraversava la sala per dare inizio alla cerimonia di smistamento.
“Ti sei sfondato di dolci in treno, penso potrai evitare il collasso per qualche altro minuto”.
“Fossi in te non ci conterei, James” fece Sirius, con aria stranamente assente. “Quello era solo uno spuntino da niente” aggiunse, prendendo a giocherellare nervosamente con il tovagliolo.
“Silenzio prego” scandì la voce severa della professoressa McGranitt dal fondo della sala. “Diamo inizio alla cerimonia di smistamento” proseguì, srotolando una pergamena che stringeva tra le mani e schiarendosi la voce prima di iniziare a leggere. “Dunque… Ambler Louise. Venga, signorina Ambler”.
Una ragazzina bionda uscì dalla fila e si avvicinò rapidamente allo sgabello, dove si sedette e prese a tormentarsi una ciocca di capelli che le era scesa davanti al viso. Non smise quando il cappello le fu calcato in testa e il silenzio nella sala si fece completo. La scelta fu quasi immediata e pochi secondi dopo trotterellava verso il tavolo dei Tassorosso, sorridendo a dei ragazzi che probabilmente già conosceva e che si stavano stringendo per farle posto.
“Black Regulus”.
Un ragazzo moro uscì dal centro della fila e si avviò verso lo sgabello fermandosi come a riprendere fiato, poi lo raggiunse e si sedette, serrando le dita sul bordo del sedile per dissimulare il tremito.
Suo fratello, seduto dall’altra parte della sala, si costrinse a non chiudere gli occhi quando il cappello fu calato. Restò a guardare quelle mani pallide serrate per un tempo che parve interminabile, conficcandosi le unghie nei palmi senza neanche avvertire il dolore. Sussultò quando qualcuno al suo fianco fece scricchiolare la panca, accorgendosi solo allora di non aver respirato per qualche secondo. Ancora silenzio, profondo, spietato, interminabile.
“Serpeverde!” annunciò il cappello con il consueto tono giulivo.
Serpeverde.
Regulus sembrò faticare ad alzarsi, come se le gambe non lo reggessero. Si avviò con passo incerto, poi acquistò velocità mentre attraversava la sala diretto al tavolo che lo attendeva. Non alzò mai lo sguardo. Non si girò. Non esitò più.
Serpeverde. Anche lui. È successo, ormai è troppo tardi. Serpeverde, Serpeverde, Serpeverde. Quella parola martellata nel cervello senza pietà. Tuo fratello è un Serpeverde. Non c’è più spazio per sperare.
“Sirius, non mangi?” chiese Remus, osservandolo.
“Sì, mi ero distratto”bofonchiò, faticando a parlare. Prese la forchetta e si portò alla bocca una patata,una di quelle che erano sempre state contese tra gli studenti e che avevano quel profumo incredibile che si sentiva già dalle scale. Patate croccanti e profumate che ora sapevano solo di fiele. Deglutì a fatica e attaccò la carne senza neanche masticarla, il sapore gli dava la nausea .
“Sono certa che non vorrai darci un dispiacere come tuo fratello, non è vero? Credo proprio che tuo padre faticherebbe a tollerarlo. Una mela marcia in famiglia è già troppo” aveva detto la madre, poco prima che salissero sul treno “Mi aspetto che tu non sia così ingrato da voler deludere la tua famiglia”.
La forchetta cadde sul piatto e si trovò già in piedi prima di rendersene conto. Non rispose a chi gli chiedeva dove stesse andando. Percorse i metri che lo separavano dalla porta a passo veloce e finalmente raggiunse l’ingresso. Ma anche lì il chiacchiericcio e le risate sembravano inseguirlo.
Sgusciò fuori dal portone socchiuso e scese a precipizio le scale d’ingresso senza quasi guardare dove metteva i piedi. Corse giù lungo il pendio e raggiunse la riva del lago dove rallentò e si lasciò cadere ai piedi di un albero, a pochi metri dall’acqua scura, che appariva immobile come un’enorme lastra di vetro nero.
Non aveva alzato la testa dal libro quando aveva sentito la maniglia abbassarsi: non ce n’era bisogno, avrebbe riconosciuto quel passo tra mille.
“Che leggi?” aveva domandato suo fratello sedendosi sul tappeto al suo fianco.
“Un libro sui fantasmi”.
“Di chi?”.
“Henry James”.
“E chi è?”.
“Uno scrittore dell’Ottocento”.
“Mai sentito… è famoso?”.
“Sì… ma è babbano, Reg. Sicuramente è per quello che non l’hai mai sentito”.
“Leggi libri babbani?”.
“Ovviamente sì, se sono interessanti” aveva risposto Sirius, girando la testa per guardarlo.
“Non ne ho mai letto uno”.
“Nel mio baule ce n’è qualcuno. Prendine uno se ti va”.
Regulus aveva esitato un attimo, poi si era chinato sul baule e ne aveva estratto una piccola pila di volumi, guardandoli con interesse.
“Reg?”.
“Mh ?”.
“Ma tu riesci a respirare qui dentro?”.
“In che senso?”.
“Voglio dire… non ci permettono di conoscere il mondo esterno, possiamo avere contatto solo con quello che va bene a loro. Non possiamo frequentare chi vogliamo, non possiamo fare nulla che si differenzi. Io mi sento soffocare… tu no?”.
Regulus aveva deglutito prima di rispondere, stringendo le mani sui libri che ancora teneva in mano. “Sì” aveva mormorato, quasi spaventato da quel che gli era uscito di bocca. “Ma questa è la mia famiglia” aveva aggiunto precipitosamente, la voce che gli tremava appena.
“Sirius?”.
Alzò la testa sentendosi chiamare. “Che c’è?” chiese, scorbutico.
“Volevo sapere come stessi” fece James, lasciandosi cadere sul prato al suo fianco “Quando sei uscito… sì, insomma, non mi sembrava stessi bene”.
“Non avrei voluto si vedesse” mormorò l’altro, la voce leggermente arrochita “Volevo… speravo di riuscire a prenderla diversamente o almeno di mostrarmi neutro ma come vedi ho miseramente fallito su tutta la linea”. Diede in una breve risata, poi riprese “Dammi pure del coglione, del resto lo sono stato. Solo un coglione poteva sperare che davvero lui avrebbe potuto fare una scelta diversa. Sì, lo so che la casa non si sceglie ma… c’è anche dell’altro in mio fratello, molto altro. Solo che è tutto schiacciato dall’involucro che gli hanno appiccicato i miei e che non ha la forza di scrollarsi di dosso. Io… sono convinto che avrebbe avuto una possibilità di trovare una strada diversa in un’altra casa… ora non ce l’ha più”. Deglutì, faticando a riprendere a parlare “Mia cugina Andromeda è stata a Serpeverde ed è… una persona per bene, diversa da tutto il resto della famiglia. La casa vuol dire fino a un certo punto ma… cazzo, James, per lui era diverso, lui non è abbastanza forte per tirarsene fuori da solo, ha bisogno di qualcuno che lo approvi, che lo faccia sentire protetto e so che lì diventerà come loro, si appiattirà per non sentirsi un diverso”. Si alzò di scatto e si avvicinò al lago, fermandosi a pochi centimetri dall’acqua e fissando lo sguardo prima verso la sponda opposta (ormai quasi inghiottita dalla notte) poi sul pelo dell’acqua che gli ricordò un’enorme bocca scavata nella Terra.
Si chinò a raccogliere un ciottolo dalla riva e se lo rigirò tra le mani in modo meccanico, la superficie ruvida e umida che gli raspava la pelle.
“Ho paura del loro giudizio Sirius… non voglio mi guardino come guardano te” aveva detto Regulus soltanto pochi giorni prima “Ma sarebbe così bello stare in casa insieme, questo anno senza di te è stato lunghissimo da passare. Forse… forse varrebbe la pena di… di dispiacerli” aveva balbettato, guardando il fratello con un’espressione di terrore dipinta sul viso, ma una strana luce ad illuminargli gli occhi.
“A quanto sembra non è valsa la pena” mormorò, la voce che gli moriva in gola “Non è decisamente valsa la pena” ripeté, faticando sempre di più a parlare. Aprì le dita e rimase a guardare il sasso cadere in basso, aprire un piccolo foro nell’acqua e sparire nell’abisso lasciandosi alle spalle solo un’increspatura che presto scomparve.
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