Erano passate da poco le 23.30, quando finalmente Harry Potter alzava la penna d'oca dalla pergamena che aveva davanti per riporla sul piano della scrivania già ingombro di fogli strappati e ritagli di giornali. Aspettando il ritorno di Edvige dalla caccia notturna, si era dato un po' da fare per rendere quel tugurio un tantino più adatto ad ospitare esseri umani e aveva buttato giù anche due righe per l'amico che aspettava sue notizie da fin troppo, oramai. Meccanicamente allungò le braccia sopra la testa e volse uno sguardo assonnato alla stanza, solitamente nel disordine più totale, ora stranamente ordinata: tutto sembrava normale, tutto al proprio posto... a parte il grosso baule aperto ai piedi del letto, il gran calderone in peltro, il superbo manico di scopa, qualche vestito nero e il cappello a punta da mago. Intorpidito si alzò e, presa la pergamena, si diresse verso la finestra per leggerla alla fioca luce della luna:

Ron,
Ciao sono Harry. Prima di tutto riferisci a tua madre e a Bill che ho ricevuto le loro lettere ma non ho potuto rispondere loro perché non avevo Edvige con me e il tuo Leotordo era troppo "euforico"...e sai quanto sia impossibile legargli il bigliettino alle zampe! Di conseguenza avvisali che domani penso di arrivare per ora di pranzo (cucina mamma, no?) e di rimanere con voi fino al matrimonio.
E per il resto, Ron veramente ancora non ci ho pensato. E quindi credo che alla fine decideremmo insieme sul da farsi.
Va beh, a presto!
Saluta tutti,
Harry.

Finì di leggere la lettera proprio mentre la sua candida civetta si poggiava leggermente sulla spalla sinistra e iniziava a mordicchiargli l'orecchio.
«Oh, finalmente sei tornata! - le sussurrò prendendola delicatamente in braccio per legargli il biglietto ad una zampa - Porti questa alla Tana e mi aspetti lì?» chiese alla civetta come se ce ne fosse bisogno, guardandola nei suoi grandi occhi color dell'ambra.

Buffetto sulla mano e poi via graziosamente in volo, per l'oscurità tenebrosa della notte finché non scomparve alla vista.

Lui invece rimase alla finestra, lo sguardo rivolto alla luna piena, la mente altrove, persa tra i pensieri.
Questa era l'ultima notte che passava a Privet Drive, l'indomani sarebbe partito per non farvi più ritorno... e finalmente!

Aspettava con trepidazione questa ricorrenza fin dall'inizio delle vacanze, e non per i regali (dai Dursley, poi?): il giorno seguente sarebbe finalmente diventato padrone della propria vita, finalmente uomo...

"Uomo... come se poi fossi mai stato un bambino, o almeno uno come tutti gli altri!"
Voltò le spalle alla finestra e si tuffò sul letto, ancora tutto vestito, lo sguardo indispettito rivolto al soffitto della stanza...

"Il sopravvissuto..."

Un’onda di titoloni della Gazzetta attraversò il suo sguardo, frastagliata da immagini reali e mezze oniriche di morte e distruzione, imbarbarimento morale diffuso, dolore, odio…

Voldemort non si era fermato un attimo quell’estate, il suo Marchio di infamia e disperazione incombeva ovunque ma non per il Regno Unito, ancora apparentemente incolume ed estraneo, ormai mera ciliegina di una torta già del tutto inghiottita.

Sfiorò la cicatrice più per abitudine indotta che per reale presentimento mentre con un unico gesto riordinava ciuffo e pensieri.   
Lo sapeva che tutto questo doveva finire, senza dubbio, nessun’altra madre avrebbe dovuto più piangere sul corpo del proprio figlio, mai! Lo sapeva, sì, come sapeva che tutto questo dipendeva da lui, solo da lui...
E lui sorrise, impassibile: era pronto, per forza doveva esserlo.

Erano morti tutti, portati via dalla follia assassina di quel mostro intinto d’odio e rancore che non lo perdeva d’occhio un secondo, la profezia ad unirli, la morte in attesa.

 “… l'uno dovrà morire per mano dell'altro, perché nessuno dei due può vivere se l'altro sopravvive...
il solo col potere di sconfiggere l'Oscuro Signore nascerà all'estinguersi del settimo mese...

Il ricordo di Silente che la rivelava al di là della scrivania nella torre su ad Hogwarts l’estate precedente gli ottenebrò la mente per qualche istante.

Per tutta l’estate non era riuscito a levarsi dagli occhi la figura di quel vecchio pazzo scriteriato che l’aveva voluto tenere all’oscuro di tutto fino all’ultimo pur di fargli condurre una vita quanto possibile regolare come i suoi coetanei normali, non predestinati, salvaguardandone l’adolescenza e una serenità sempre a rischio. L’aveva accudito, cresciuto, seguito nelle scelte e malefatte, adottato come il nipote che non aveva mai avuto, protetto fino all’ultimo, la caverna, gli Horcrux, la torre…

L’assenza era ancora grande, parecchio, molto più di Sirius e dei suoi cari: dopotutto lui c’era sempre stato, sempre.

Ma ora non più, anche lui.

E tanti altri del tutto anonimi dopo di lui, spariti tra le grinfie del male tornato a dettar legge su quell’inferno di terra sempre più al collasso, recisi anch’essi dalla solita mano nera mietitrice di sogni ed esistenze varie.

Ma sì, era deciso a compiere quanto era stato prefissato già prima della sua nascita, realizzare e conoscere il proprio destino... Doveva e voleva poi vendicare coloro che erano morti per proteggerlo e tutti coloro che erano scomparsi solo per aver intralciato i piani di quel mostro e dei suoi patetici, fottuti seguaci; lo doveva a tutti quelli che avevano sofferto a causa loro, lui stesso in primis...per forza.

Altro sangue quindi, in una vita già macchiata oltre misura. Ma non si poteva tirare indietro, né tantomeno lo voleva. Voldemort deve morire e sparire dalla storia, il resto solo chiacchiere e burocrazia di riassestamento: la guerra è alle porte, l’abisso imminente.

Ecco il motivo che rendeva quell'attesa quanto mai snervante, quel giorno tanto fondamentale: da domani sarebbe stato maggiorenne, finalmente carta bianca e libertà di fare le proprie scelte in completa autonomia, senza più il bisogno di quei vincoli che lo avevano tenuto legato per tutta l’adolescenza, o di quegli altri di cui si era già privato in precedenza non per sua volontà ma sempre per opera di V…Voldemort, la causa di tutto era lui, sempre lui. Mostruoso, poco umano, malefico e perverso ma, allo stesso tempo, così simile… e dopotutto era vero: fin dalla prima volta che l'aveva incontrato, non aveva potuto fare a meno di notare le somiglianze, quei particolari che li accomunavano, quelle capacità così fuori dal comune che scorse anche il Cappello Parlante la prima sera di Hogwarts, alla Cerimonia dello Smistamento... quella giovinezza vissuta allo stesso modo, entrambi orfani, entrambi maltrattati... ma nonostante questo, non riusciva proprio a compatirlo né tantomeno... capirlo. Portare morte e dolore non ripaga delle sofferenze subite! E malgrado, ripensandoci, in molte occasioni avesse rivisto se stesso nel mago oscuro, non era in grado comunque di provare pietà per quello che sarebbe diventato Voldemort, né di giustificarne le scelte. Scelte che, dopotutto, palesavano ineluttabilmente le differenze esistenti contraddistinguendoli, l'uno l'opposto dell'altro, le differenti strade intraprese e che alla fine li avrebbero portati a scontrarsi a ripetizione, fino al giorno in cui uno dei due non sarebbe morto per mano dell'altro...

Un sonoro sbadiglio di suo cugino Dursley lo distolse dai suoi pensieri, riportandolo alla realtà. Harry, sorridendo, si voltò di lato e guardò la sveglia luminosa sul comodino.

Era passata da sette secondi la mezzanotte. Maggiorenne! Sempre sorridendo si rigirò sull'altro lato del letto e chiuse gli occhi.

"È fatta..."

Per quanto fosse decisamente diverso dal resto dei suoi coetanei, in quel momento si sentiva proprio come chiunque altro, felice che fosse finalmente arrivato il suo compleanno.

 

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